Abbiamo visto che nella bellezza abbiamo una risorsa ma anche un pericolo. Però è un pericolo che dobbiamo correre, un pericolo che non possiamo evitare. Così nel cibo abbiamo una risorsa ma anche un pericolo, perché il cibo che ci nutre ci fa anche ammalare… Ma non possiamo vivere senza cibo quindi dobbiamo accettare questo rischio. Così è per la bellezza, la rinuncia alla stessa è molto più grave del pericolo che ne può venire. Uno di questi pericoli è quello di amare la bellezza al di fuori della sua funzione. Faccio un esempio… Se devo scrivere una marcia militare e invece scrivo un bellissimo valzer, anche se la musica è oggettivamente bella, avrò fallito il mio compito in quanto mi era stato chiesto di fare altro… Colui che dicesse che comunque va bene lo stesso perché quella musica è bella avrebbe un approccio estetico ma al di fuori della realtà. Riflettiamo su questo: “La bellezza formale, quali che ne siano gli elementi materiali, si presenta sempre come pura inutilità. Ma questa pura inutilità viene altamente apprezzata dall’uomo e non solo da lui, come vedremo in seguito. E se non può essere apprezzata come mezzo per soddisfare questi o quei bisogni pratici o fisiologici, ciò significa che essa viene apprezzata come fine a se stessa. Nella bellezza — anche nelle sue manifestazioni più semplici ed elementari — noi incontriamo qualcosa che ha un valore assoluto, che esiste non per qualcosa d’altro ma per se stesso, che con la sua stessa esistenza rende felice e soddisfa la nostra anima, anima che nella bellezza si placa e si libera dalle brame e dalle fatiche dell’esistenza” (Vladimir S. Solov’ëv, Sulla bellezza). Questo sembra contraddire quanto ho detto in precedenza ma realtà no, non è così. È vero certamente che nella bellezza c’è un valore assoluto, che le appartiene a prescindere dall’uso che ne viene fatto. Ma non possiamo nasconderci che la stessa bellezza è presente anche in elementi di cui facciamo uso e quindi deve essere congruente alla funzione per cui è stata creata, se parliamo di oggetti o opere d’arte. Il pericolo di vedere la bellezza solo come valore assoluto è sempre in agguato.
Il filosofo Roger Scruton si è occupato molto di bellezza. Nel suo libro Beauty afferma: “Supponiamo che Rachel indichi una pesca in una ciotola e dica "Voglio quella pesca". E supponiamo che tu le dia un'altra pesca dalla stessa ciotola e lei risponda: "no, è quella pesca che volevo." Saresti perplesso da questo. Sicuramente, qualsiasi pesca matura andrebbe altrettanto bene, se lo scopo è mangiarla. 'Ma è proprio così', dice: 'Non voglio mangiarla. La voglio, quella pesca in particolare. Nessun'altra pesca andrà bene’. Cos'è che attrae Rachel verso questa pesca? Cosa spiega la sua affermazione che è solo questa pesca e nessun altro che vuole? Una cosa che spiegherebbe questo stato d'animo è il giudizio della bellezza: "Voglio quella pesca perché è così bella". Volere qualcosa per la sua bellezza è volerla, non voler farci qualcosa” (mia traduzione). Ma in realtà noi potremmo dire che lo scopo di prendere una pesca è proprio quello di mangiarla, non di contemplarla. Quindi nell’esempio del filosofo, potremmo dire che la bellezza ha in certo senso sviato l’oggetto della sua funzione. Se io dicessi: mi attrai molto quella donna X che sento che voglio fare equazioni di matematica con lei, voi sentireste una decisa incongruenza nel mio pensiero. Potrei dire che voglio avere intimità con lei, voglio stare con lei, voglio fare un viaggio con lei… Tutto questo sembrerebbe più logico. Ma se pure dicessi che apprezzo la bellezza di quella donna come valore assoluto, potrebbe essere anche accettato ma fino a un certo punto. Quindi, dobbiamo capire in che modo la funzione si innesta sul valore assoluto della bellezza. Separare la bellezza dalla sua funzione può essere pericoloso.
Ho trovato online il livejournal di George Brummell in cui trovo questa definizione: “Si potrebbe discutere a lungo su cosa voglia dire essere un “esteta”, il significato più esaustivo è fornito dal dizionario italiano, che ne distingue tre accezioni principali. La prima identifica nell’esteta chi “subordina il vero e la morale ai valori estetici” ed ha “il culto della bellezza”. La seconda vede in lui semplicemente “chi si applica allo studio dell’arte e dell’estetica”. La terza lo identifica come “chi trae da un’accurata e raffinata educazione del gusto alla bellezza una norma di vita e di comportamento che lo conduce ad un superiore dilettantismo intellettuale, alla ricerca di sensazioni squisite, e anche a un’eleganza estrema di vita, di abbigliamento, di espressione e di comportamento”. E’ bene togliere subito di mezzo il secondo significato, infatti, chi studia l’arte o l’estetica non è necessariamente un esteta. Restano quindi le altre due accezioni, la prima considera l’estetismo come una dottrina filosofica, come l’affermazione teorica del primato dei valori estetici su quelli conoscitivi o morali; la seconda fa riferimento soprattutto a concreti atteggiamenti di vita, a una condotta pratica fatta di eleganza, raffinatezza, sensualità”. Ecco, in questa accezione la bellezza sembra qualcosa di molto attraente ma io ne vedo anche i pericoli. Perché la bellezza in sé stessa perde la sua funzione fondamentale. Questo non significa che non sia possibile per noi perderci nella bellezza, a volte questo sarebbe anche da augurarselo. Ma non bisogna prendere questo come principio guida della nostra vita.
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