Lo sport preferito di questi tempi di pandemia e di chiusura forzata dentro casa è quello di prevedere cosa faremo dopo, e ci affanniamo nel cercare soluzioni per i problemi che certamente ci cadranno addosso. Ma del resto questo è un atteggiamento che noi abbiamo per tutte le cose della nostra vita, viviamo sempre nel futuro e nel passato per timore, anzi per paura di affrontare il presente. Perché c’è una differenza fra timore e paura, essendo il primo un giusto atteggiamento di fronte alla maestà divina mentre la paura a volte può sfociare in un panico continuo, che è un poco quello che possiamo osservare.
Ecco che ci viene in soccorso una frase di Gesù, che ci dice “a ciascun giorno basta la sua pena”. Questa frase è nel contesto di un passaggio nel vangelo di Matteo (6, 25-34) che dice come segue: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”. Eppure noi sappiamo come questo atteggiamento “pagano” sia veramente il più comune nella nostra società. Viviamo nel futuro o nel passato ma proprio non riusciamo a vivere nel momento presente.
“A ciascun giorno basta la sua pena”, perché noi in realtà non sappiamo cosa ci riserva il futuro e spesso rischiamo di renderlo negativo per le aspettative negative nostre che proiettiamo. È come quella persona che è sempre convinta di stare male, che presto avrà una malattia devastante, e che con le sue paure comunque fa ammalare veramente il suo corpo, in definitiva realizzando poi la sua previsione! Cioè si è causata il problema che aveva predetto. Ma non è l’unico caso, ce ne sono molti. Questo non significa che non dobbiamo usare prudenza nel provvedere per le nostre future necessità ma dovremmo cercare prima di tutto di vivere radicati in quello che siamo ora per poi proiettarci in quello che saremo e rivederci in quello che siamo stati. Perché anche il passato deve servirci per vivere più pienamente hic et nunc, non semplicemente per ricostruire “quello che è accaduto”, secondo il desiderio forse irrealizzabile dello storico tedesco Leopold von Ranke.
Don Luigi Maria Epicoco così commenta il passaggio di Matteo: “Chi si pre-occupa è uno che vive sempre un passo in avanti rispetto la vita e quindi non ha tempo di gustare la vita. Chi si pre-occupa è uno che vive con l’ansia di cosa dovrà accadere e non con la gratitudine di ciò che accade. Dovremmo imparare un po’ tutti a “occuparci” e a non a “preoccuparci”. Dovremmo tornare tutti un po’ alla realtà e al presente. Chi si preoccupa non vede più il volto della moglie o del marito, dei figli o degli amici, del cielo azzurro o della splendente pioggia d’estate. Chi si preoccupa vede solo problemi da risolvere e non cose per cui comunque arrivare a sera grati. Chi si preoccupa non ha tempo di sorridere perché “la vita è una cosa seria”. E’ così seria che ci sono giorni in cui uno si domanda se poi valga davvero la pena vivere così. Ha ragione allora Gesù a ricordarci una cosa semplice: “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”. E ogni giorno ha la sua grazia”. Guardate che è difficile vivere il momento presente, è forse una delle cose più complicate e che più mostrano l’imperfezione della nostra vita spirituale. Ma la scalata alla montagna che è Dio si compie con una infinità di passi nel momento presente. Ma noi abbiamo paura di affidarci a Dio, abbiamo tutti paura di questo, io per primo. Benedetto XVI nell’udienza generale del 24 ottobre 2012 diceva: “La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza. Avere fede, allora, è incontrare questo «Tu», Dio, che mi sostiene e mi accorda la promessa di un amore indistruttibile che non solo aspira all’eternità, ma la dona; è affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel «tu» della madre. E questa possibilità di salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini. Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche –sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura. E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani“. E questo dono lo continuiamo a rifiutare perché preferiamo vivere nella paura. Preferiamo essere schiavi di noi stessi.
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