Nelle precedenti “parti” di questo testo, si è avuto il modo di incontrare vari pensatori e si è valutato la loro influenza nel cammino della bellezza e nella sua relazione con la teologia in modo particolare. In tutti questi pensatori ci si concentrava sul soggetto dell’osservazione, cercando di razionalizzare in che cosa questo soggetto appariva bello. Gli artisti cercavano questa via segreta alla bellezza per fare in modo che le loro opere potessero risplendere di questa bellezza, che essa potesse essere vista e ammirata dal pubblico, dai fruitori della bellezza, insomma da noi. Ma, nel XVIII secolo, tutto questo è destinato a cambiare, in modo drammatico. Innanzitutto bisogna introdurre il nostro primo protagonista, Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762).
Non è un personaggio molto conosciuto al di fuori dei circoli filosofici ma dobbiamo dedicargli un poco di attenzione per un paio di motivi. Il primo è che alcune sue tesi saranno oggetto di riflessione da parte di un filosofo che avrà un’influenza enorme sulla storia del pensiero successivo, fino ai nostri giorni; l’altra è che egli sarà il primo nella storia ad usare il termine “estetica” per denotare la conoscenza sensibile (“Aesthetica…est scientia cognitionis sensitiuae” come appare nel suo volume dedicato a questo tema), che si serve dei sensi e per formulare una teoria dell’arte. Essa sta vicino alla logica, che è conoscenza intellettuale. Nel suo volume del 1750, che prende appunto il nome di “Aesthetica”, egli espone la sua visione filosofica ed intellettuale. Ma il concetto di “estetica” come scienza filosofica a se stante si trova già in questo autore in un lavoro del 1735, “Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus” (Meditazioni filosofiche su alcune caratteristiche del Poema, Hammermeister, Kai (2002). The German Aesthetic Tradition. Cambridge, United Kingdom: Cambridge University Press. Pag. 3). Quindi, la storia accredita questo autore come colui che inserisce nel dibattito filosofico questo termine, dibattito filosofico in cui presto si inserirà un protagonista assoluto.
Sono anni interessanti, non c’è che dire. Le persone nate nel XVIII secolo respirano la nascita di un nuovo sentire che impregnerà nel profondo le anime e le menti, il sentire scientifico, già reso più indipendente da quello ecclesiastico in età barocca. Chi nasce in questo tempo sta nella scia di Cartesio e del suo dualismo che da lui sarà chiamato cartesiano, che oppone la mente e il cervello come due entità non completamente coincidenti (ancora ad oggi la sua riflessione è oggetto di profonde disquisizioni accademiche). Chi nasce in questo tempo sta nella scia di Isaac Newton, fisico e matematico che attraverso la sua legge di gravitazione universale e le sue leggi sul moto avrà un’influenza determinate sulla scienza a venire. Chi nasce in questo tempo potrà forse riflettere ancora più di quello che viene fatto da noi sulla figura di Galileo Galilei e sui limiti di scienza e fede e su come possano (o debbano?) vivere insieme. Insomma, una nuova pagina della storia dell’umanità è stata aperta e questa non potrà anche non avere influenza su come il nostro occhio vede, su come la nostra percezione è guidata al guardare.
Un uomo avrà certamente un’influenza determinante sul pensiero a venire e non solo nel campo filosofico: Immanuel Kant. Questo filosofo, forse anche un pochino noiosetto a giudicare dalle sue abitudini così regolari che la gente pensava si potesse regolare l’orologio nel momento del suo passaggio per la quotidiana passeggiata, avrà un influsso determinante su tutta la filosofia a venire, fino ai nostri giorni. Era nato nel 1724, in una famiglia che coltivava la fede pietista, una derivazione del protestantesimo di impronta fortemente soggettivistica e antidogmatica. Nel 1770, dopo i suoi studi, diverrà professore di logica e metafisica. Quest’ultima avrà da patire parecchio proprio per gli studi del nostro simpatico professore. Dal 1781 comincerà a pubblicare i suoi influentissimi trattati filosofici, a cominciare dalla Critica della ragion pura. Proprio in quest’opera, nella nota 2 a pagina 54 della versione italiana, troviamo questa affermazione: “I tedeschi sono i soli, che si servano al presente della parola estetica per indicare ciò che gli altri chiamano critica del gusto. La ragione sta nella fallita speranza dell’eccellente analista Baumgarten, il quale credette di ridurre a principi razionali il giudizio critico del bello, e di elevarne le regole a scienza. Ma codesto sforzo è vano. Infatti le dette regole e i criteri del gusto sono per le loro principali fonti, empirici, e però non possono mai servire per determinare leggi a priori, sulle quali dovrebbe appoggiarsi il nostro giudizio del bello: piuttosto questo forma la pietra di paragone della validità di quelli”. Quindi, secondo il nostro Kant, non possiamo assolutizzare il bello, esso dipende dall’osservatore. Secondo lo studioso Andrew Bowie, il nostro Kant rivedrà più tardi questo giudizio sul povero Baumgarten: “Al tempo della Critica del Giudizio, comunque, Kant avrà apertamente considerato più in profondità quanto aveva motivato la concezione di Baumgarten (nelle sue inedite “Riflessioni” aveva già considerato più seriamente l’estetica intesa nel nuovo senso)” (Bowie, Andrew (2003). Aesthetics and Subjectivity. From Kant to Niezsche. 2nd Ed. Manchester, England: Manchester University Press. Pag. 19 (Mia traduzione)). Malgrado alcune riconsiderazioni successive, non possiamo passare sotto silenzio il ruolo devastante che il nostro Kant avrà sulla tradizione precedente. In effetti è interessante considerare come la sua opera si svolgerà proprio nello stesso periodo che vedrà la nascita del termine “estetica”. Che, grazie a lui, non sarà più la stessa. In effetti, ciò che interessa al nostro filosofo non è tanto l’oggetto estetico, quanto il soggetto estetizzante. Insomma, san Tommaso d’Aquino ci aveva detto che bello è ciò che piace allo sguardo, ma intendendo con questo che la qualità dell’oggetto estetico attirava il piacere nello sguardo dell’osservante. Qui ci troviamo su un altro piano, la sensazione risiede nell’esperienza di chi osserva: “Kant è forte nell’affermare, quindi, che noi possiamo solo conoscere il mondo come appare a noi attraverso le costitutive categorie a priori della soggettività che sintetizzano intuizioni in forme di conoscenza. Il mondo come oggetto di verità è quindi costituito attivamente dalle strutture di coscienza che noi abbiamo di lui, il che significa che noi non possiamo conoscere come il mondo è ‘in se stesso’” (Bowie, Andrew (2003). Op. Cit., 17 (Mia traduzione)). La studiosa Fiona Hughes dell’Universita’ dell’Essex (Gran Bretagna), suggerisce che il giudizio estetico in Kant è guidato da ciò che lei definisce “purposiveness” nella natura, potremmo dire “determinazione” della natura: “Il pensiero centrale nella mia interpretazione di determinazione è che essa è un concetto relazionale. ‘Determinazione della natura’ non significa la proiezione della mente nella natura, come molti hanno sospettato. Denota invece la nostra ricettività riflettente al mondo nel quale noi troviamo noi stessi. La vera possibilità di una relazione tra il soggetto e il mondo è espressa da ‘determinazione’” (Hughes, Fiona (2006). On Aesthetic Judgement and our Relation to Nature: Kant’s Concept of Purposiveness. In Inquiry, Vol. 49. No. 6, 548. (Mia traduzione)). Come vediamo, una concezione molto articolata del pensiero del nostro, che andrebbe di certo approfondita. Saranno anche molto interessanti le riflessioni di Kant sul concetto di sublime che, secondo la studiosa Gesa Elsbeth Thiessen, Kant intende come una sensazione che viene creata nella nostra mente dalla potenza della natura. Comprendendo questa potenza della natura come sublimità, continua la studiosa, uno potrebbe anche essere in questo modo innalzato alla contemplazione della sublimità di Dio, se e’ in grado di conformarsi alla sua volontà (Thiessen, Gesa Elsbeth (2004). Theological Aesthetics. A Reader. Grand Rapids (MI), USA: William B. EErdmans Publishing Company. Pag. 186). Come si capisce, in Kant c’è uno scavo che porterà anche a contatti con quanto le neuroscienze ci vanno rivelando sulla nostra capacità di conoscere. Si potrebbe dire che oggi, per sapere di più su di noi, la palla e’ passata dalla filosofia alle scienze che studiano i meccanismi cerebrali. Certo ci dovremo tornare in uno dei prossimi paragrafi.
Mentre il nostro Kant si dava molto da fare con la sua attività di insegnante, nasceva un altro pensatore che avrà un influenza determinante sulla storia a venire. In un certo senso anche questo pensatore va considerato con lo stesso peso con cui consideriamo il nostro Kant, in quanto la sua filosofia, ostica e di non facile approccio, fornirà strumenti per alcune correnti di pensiero che letteralmente scriveranno la storia del secolo ventesimo, spesso con lettere di sangue. Un pensatore che darà anche rilevanti contributi nel campo dell’estetica e della Teologia: Georg Wilhelm Friederich Hegel (1770-1831). Anche in questo caso, come un poco in Kant, si tratta di pensiero difficile da districare, così offrirò solo qualche intuizione sul tema che si va trattando.
Il nostro Hegel, nato lo stesso anno di Beethoven, fu studente di Teologia e poi professore universitario. Negli ultimi anni della sua vita sarà riconosciuto come una influenza determinante per la filosofia tedesca. Lo sara’ molto di più per il pensiero di tutta l’umanità, come già detto sopra. C’è da dire che la sua influenza sarà importante anche nel campo dell’estetica: “Georg Wilhelm Friederich Hegel continua ad essere uno dei capisaldi cruciali nella storia dell’arte e degli studi sulla visione” (Murray, Chris ed. (2003). Key writers on Art: From Antiquity to the Nineteenth Century. London, UK: Routledge. Pag. 162. (Mia traduzione)). Nel suo pensiero ha una grande importanza la storia in cui avvengono cambiamenti grazie ad un processo dialettico fatto di tesi, antitesi e sintesi, che a sua volta diventa tesi per andare così quasi all’infinito. L’arte, secondo Hegel, rappresenta lo spirito di una particolare cultura e di un dato artista, ma anche lo spirito dell’umanità in generale. Secondo la concezione storica di Hegel, il cammino della storia è proteso verso un climax che arriverà; in questo senso l’arte è continuo progresso, intendendo con questo che si da una grande importanza a ciò che e’ contemporaneo rispetto a ciò che appartiene al passato.
I tre momenti principali della storia dell’arte per il nostro vengono definiti come: simbolico, classico e romantico (Letture sull’Estetica). Questi tre momenti sono definiti da come la forma e l’idea vengono a trovarsi in relazione reciproca. Nel momento simbolico, una idea potente cerca di trovare espressione in una forma che però non riesce a conformarsi pienamente all’idea, risultando in qualche modo distorta. Questo, secondo Hegel, va cercato principalmente nell’arte egiziana e indiana, ma anche in altre arti in cui ci sono caratteristiche somatiche o sessuali molto esagerate. La seconda fase, quella classica, può essere rappresentata dalla scultura Greca. Qui idea e forma si trovano in equilibrio ammirevole ma la profondità dell’idea, sempre secondo il nostro, non e’ abbastanza sviluppata. La terza fase, quella romantica, da importanza all’interiorità. Le immagini non possono veramente fare onore all’idea che trova la sua espressione migliore nell’interiorità. Secondo Hegel questo è tipico dell’arte cristiana specialmente nel trattamento di alcuni temi come martiri, sofferenze varie e crocifissioni.
Quello che penso vada meditato con attenzione è il concetto che si trova in Hegel, secondo cui la verità evolve storicamente: “Nel sistema di Hegel, la verità si sviluppa storicamente, così che la storia dell’arte, religione e filosofia, sono narrazioni significative che ora, alla fine di tutto, mostrano un comportamento che prende significato” (Murray, Chris ed.(2003). Op. Cit., Pag. 162). Quindi, l’arte contemporanea spiega tutta l’arte precedente che ha senso solo alla luce di quello che facciamo oggi, se si porta questo discorso alle sue logiche conseguenze. Mi sembra di vedere che questa sia quasi una concezione evoluzionistica dell’arte, per cui il successivo è meglio del precedente, per cui quello che arriva oggi è il prodotto finale di secoli di evoluzione. Non vorrei dare troppi demeriti al nostro Hegel, ma ricordiamo che questo intreccio tra Hegel ed evoluzione dialettica nella storia, darà vita anche ad ideologie che tanto faranno sanguinare il secolo ventesimo. Come abbiamo ricordato, questo processo di cambiamento avviene attraverso il processo di tesi, antitesi e sintesi. Questa “ascesa dialettica’ come viene anche chiamata può andare avanti all’infinito. Secondo il nostro Hegel, si è giunto alla fine dell’arte come era anticamente intesa, oramai sostituita da Scienza e Filosofia. Quando lo Spirito avrà finalmente raggiunto la sua auto realizzazione non ci sarà più necessità di immagini.
L’influenza di queste idee sulla moderna estetica è enorme. Basti citare lo studioso Artur Danto che enuncia una tesi molto simile a quella di Hegel e che avrà larga influenza sul dibattito artistico contemporaneo. Secondo questo filosofo è vero che in un certo senso l’arte è finita, nel modo in cui veniva tradizionalmente concepita. Non si può più fare arte come nel passato. Se questo, aggiungo io, ha un elemento di verità, mi permetto di osservare che ha anche un elemento di forte ambiguità. Cosa significa in definitiva che l’arte non si può più fare come nel passato? Dobbiamo sempre ricominciare per acquisire la patente di artisti? E cosa è una artista? Ha un significato questa parola? Queste idee faranno in modo che chiunque possa essere accusato di non essere “moderno” e quindi escluso da certi circoli che contano. Se solo il nuovo è importante, chi si rifugia in una sapienza tradizionale viene escluso. Ma cosa è il nuovo? Chi stabilisce cosa è nuovo e cosa non lo è? A chi spetta il giudizio finale su chi è moderno e chi no? Rispetto a cosa, a quali criteri? Come mi piacerebbe che Hegel potesse rispondere a queste impertinenze.