mercoledì 9 dicembre 2020

E Dio vide che era bello


Abbiamo già affrontato la dinamica della creazione, dinamica in cui Dio si compiace della bellezza di ciò che aveva creato. Essendo lui la somma Bellezza, certamente poteva misurare su se stesso i diversi gradi di bellezza che esistevano nelle cose create. Quindi, quando contempliamo la bellezza, non stiamo soltanto compiacendoci di qualcosa che diletta i nostri sensi ma anche compiendo, in qualche misura, un esercizio spirituale. Ricordiamoci che Dio è la somma Bellezza, ciò che è Bello nel suo grado sommo.

Abbiamo già incontrato in precedenza Roberto Grossatesta. Citiamolo ancora: “Est autem pulchritudo concordia et convenientia sui ad se et omnium suarum partium singularium ad seipsas et ad se invicem et ad totum harmonia, et ipsius totius ad omnes” [La bellezza è la concorde convenienza di un oggetto a se stesso e l’armonia di tutte le sue parti in se stesse e di ciascuna rispetto alle altre e rispetto all’intero e di quest’ultimo nei loro confronti.] (Roberto Grossatesta, De divinis nominibus, in Pouillon, 1946: 320 in U. Eco, Arte e bellezza nell’estetica medievale). Quindi come vediamo, la bellezza ha bisogno di un termine di paragone e quale termine di paragone più alto può esserci che Dio? Sant’Anselmo già ci insegnava che Dio era l’ente del quale non era possibile pensarne uno maggiore, il famoso argomento ontologico.

Quindi, dirò, chiunque si avvicina alla bellezza in un modo sano in una certa maniera sta compiendo un cammino spirituale. Non bisogna dimenticare, come abbiamo già detto in precedenza, che la bellezza si muove fra contemplazione e desiderio. Quindi, c’è sempre un pericolo di accentuare una o l’altra di queste dimensioni a volte sviando quella che deve essere la nostra prossimità con questa parte così importante della nostra vita. Detto questo, non possiamo certamente farne a meno. Il filosofo Stefano Zecchi osserva: “La bellezza è il presente, e si esprime nel rapporto creazione/azione. Questo rapporto definisce il significato dell’arte e la sua funzione: «Arte e politica» dice D’Annunzio «non furono mai disgiunte nel mio pensiero». C’è dunque l’intenzione pratica di usare l’arte come azione, perché nell’azione c’è la possibilità di rappresentare nel presente la bellezza. La bellezza è così liberata dalla sua immagine classica, puramente contemplativa, e riportata nella dinamica degli eventi storici, come un valore essenziale che sa determinare la realtà e può giudicare lo stato presente delle cose” (L’artista armato). Non dobbiamo pensare alla bellezza solo come contemplazione, né alla stessa solo come desiderio. Ma i due elementi si compenetrano. Certamente nell’estasi mistica possiamo abbandonare l’idea di desiderio per una pura contemplazione ma nella nostra vita terrena dobbiamo anche tenere in considerazione quell’elemento importante che è quello che vogliamo fare nostre le cose che contempliamo come belle. Non sarà però inutile fare una passeggiata nella mistica.









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