Quando ci si trova a parlare sul secolo in cui tutti noi siamo cresciuti e formati, il ventesimo (tranne per coloro che leggono le mie righe e siano sotto i dieci anni…) di solito una delle cose che si dice è di come i cambiamenti siano stati così consistenti da cambiare il volto del nostro pianeta. Devo dire che questo è un pensiero condivisibile. Veramente nuove tecnologie, nuovi modi di comunicazione, nuove scoperte scientifiche hanno stravolto il tipo di vita che conduciamo. Viviamo in un mondo diverso. Questo ci rende peggiori o migliori? Nè l’uno, nè l’altro, ci rende soprattutto diversi. Io faccio sempre l’esempio della mia collaborazione con rivista varie. Con alcune riviste e blog collaboro da anni. Ogni mese contribuisco scritti ma vedo fisicamente molto raramente il direttore con il quale però comunico frequentemente. Pur quando vivevo dall’altra parte del mondo i miei articoli arrivavano in un lampo sullo schermo del suo computer, grazie alla posta elettronica. Se avessi voluto visitarlo in persona sarebbe bastato prendere un aereo che mi portava in Italia in dodici ore, che non erano i mesi e mesi di navigazione necessari un tempo. Il mondo è diverso. Ancora: migliore o peggiore? Chi può dirlo? Quello di cui oggi sentiamo il bisogno è capire come questi cambiamenti ci cambiano, come ci fanno essere rispetto a quello che in essenza siamo.
Ora dobbiamo cercare di capire come questa nuova era cambierà le idee estetico-teologiche di cui ci andiamo occupando. E’ evidente che i cambiamenti saranno anche qui drammatici. Ma ciò che è interessante osservare è che questi cambiamenti in effetti non cominceranno in questo secolo ma avranno radice nei secoli precedenti, almeno per la gran parte. Non sono assenti quei nomi di cui ci siamo occupati: Kant ed Hegel avranno un’influenza decisiva sull’estetica del secolo ventesimo. Non ci si potrà occupare di tanti nomi, perché questo porterebbe ad esigere uno spazio che non è quello che si intende occupare. Alcuni nomi significativi basteranno per delineare tendenze importanti e orientamenti che certamente segneranno la nostra storia ma anche, e soprattutto, il nostro presente.
Il secolo ventesimo, come detto, è tempo di enormi sconvolgimenti sociali, politici ed artistici. Guerre mondiali, totalitarismi, femminismo, rivoluzione sessuale, sessantotto, avanguardie, cubismo, astrattismo, non figurativismo, dodecafonia, aleatorismo…quanto potrei andare avanti ad elencare fiumi di parole che per la maggior parte non avrebbero detto nulla ai nostri antenati ma che per noi formano un vocabolario oramai iscritto nella nostra cultura, un vocabolario che usiamo per scrivere la nostra storia, quello che noi siamo e il modo in cui siamo nel mondo. Come la bellezza, nel XX secolo, è bella? Innanzitutto c’e’ da capire che gli sconvolgimenti di cui si diceva sopra influenzeranno il modo in cui percepiamo la realtà in modo drammatico e decisivo. Pensiamo solo alla possibilità di registrare esecuzioni musicali e alla loro diffusione massiccia tramite internet. Oggi, per ciascuno in ogni parte del pianeta, milioni di brani musicali sono alla portata di mano, anzi di dito. In che modo questa bulimia auditiva influisce sulla nostra percezione della musica? Quale è, per riprendere il titolo di un libro di Paolo Fabbri, “il suono in cui viviamo”? E che dire delle immagini, oggi che i nostri occhi sono continuamente colpiti da immagini di ogni tipo e forma, in ogni momento della giornata, immagini create per attrarre la nostra attenzione, non percezioni del quotidiano. Il mondo, senz’altro è un altro mondo e ci sono oggi parole che hanno riscritto la storia della nostra civiltà.
La riflessione sull’arte è comunque sempre tema importante. Anche se l’arte naturalmente si adegua ai tempi che cambiano, rimane sempre la domanda su quale sia la sua funzione primaria. E credo che la riflessione sull’arte come via al divino, abbia avuto nel secolo passato accenti veramente significativi. Comincerei con Paul Tillich (1886-1978), che dedicherà nei suoi scritti ampio spazio alla riflessione del rapporto fra arte e teologia. Per questo noto teologo protestante (inseme a Barth, Bulltmann e Niebuhr sarà uno dei teologi protestanti più influenti del XX secolo), ci sono tre vie attraverso cui l’uomo raggiunge le realtà soprannaturali, due sono indirette ed una è diretta. Quelle indirette sono filosofia e arte, quella diretta è la religione. Filosofia ed arte sono vie indirette al divino: “Esse sono indirette perché è loro intenzione immediata di esprimere le realtà incontrate in concetti cognitivi o immagini estetiche” (Art and Ultimate Reality, 1960, mia traduzione). Quindi l’arte è messa sullo stesso piano della filosofia. Come con la filosofia, secondo la nostra tradizione, possiamo arrivare a dimostrare la necessità di Dio, così l’arte, certamente per vie diverse, può fornire un appoggio per la comprensione del soprannaturale. La religione invece è una via diretta: “Ma c’è una terza e diretta via in cui l’uomo può discernere e ricevere le ultime realtà. Noi la chiamiamo religione – nel senso tradizionale del termine. Qui la realtà ultima diviene manifesta attraverso attraverso esperienze estatiche di carattere concreto-rivelatorio ed è espressa in simboli e miti. I miti sono un insieme di simboli” (Art and Ultimate Reality, 1960, mia traduzione). Quindi, secondo l’autore la religione offre l’esperienza diretta, non mediata come nella filosofia e nell’arte.
Nell’articolo che andiamo citando, l’autore offre cinque tipi di esperienza religiosa: sacramentale, mistica, profetico-contestatrice, religiosa, estatico-spirituale. Nella sacramentale le realtà ultime appaiono, parafrasando le parole del nostro, come una santità diffusa, presente in persone, eventi e oggetti. I dipinti che rappresentano questa esperienza hanno una sorta di realismo che ha una sorta di carattere “numinoso”, quasi ambiguo, misterioso. Un esempio di questa tendenza può essere la pittura di Giorgio de Chirico. Chi conosce i dipinti di questo pittore capirà subito questo concetto. Nella mistica, l’esperienza religiosa prova a raggiungere le ultime realtà senza mediazioni di oggetti particolari. Possiamo pensare in questo caso ad alcuni esempi di arte buddista, o anche all’arte cinese, in cui il particolare delle cose è quasi dissolto in un continuum visivo. Nella esperienza religiosa di tipo profetico contestatrice, la storia diviene il luogo in cui le ultime realtà si fanno manifeste, non la natura. In questo tipo di esperienza si afferma che non c’e’ santità senza giustizia. In fondo molti di noi potranno riconoscere questo tipo di esperienza in tanta arte del secolo passato. Ma essa non è assente anche nell’arte di secoli precedenti, come possiamo osservare nel dipinto di Francisco Goya chiamato “tre maggio 1808” e in cui osserviamo la scena di una fucilazione. È evidente che l’autore intende offrire un messaggio che si richiama ad alcuni valori di giustizia e di lotta, in questo caso quelli della resistenza spagnola. La guerra è orrore, ci dice il pittore. Nell’esperienza di tipo religioso, il presente è in un certo senso idealizzato. Nella esperienza di tipo profetico-contestatrice il presente è visto come luogo in cui dobbiamo affermare i valori etici di giustizia e libertà, in quella di tipo religioso, il presente è anticipazione e tendenza alla perfezione futura. Possiamo inscrivere in questo filone l’arte pre-raffaellita con le sue figure presentate di una bellezza idealizzata, reale ma irreale. Nell’esperienza religiosa di tipo estatico-spirituale, le persone e individualità sono accettate ma la forma in un certo senso tenta di forzare i limiti, tende a qualcosa che meglio esprima la forza del messaggio che contiene, si placa in forme stabilite che pero’ tendono ad aprirsi a qualcos’altro. Possiamo trovare l’esempio di questo in un famoso dipinto di Emil Nolde del 1909 chiamato “Pentecoste”. Anche molta musica del XX secolo può essere iscritta in questa categoria, con il suo continuo tentativo dei forzare le prigioni della forma per raggiungere una maggiore perfezione espressiva. L’espressionismo, sarà l’incarnazione più riuscita di questo tipo di esperienza religiosa. Per Tillich, quest’ultimo stile è il più adeguato per l’espressione dell’esperienza religiosa anche se nell’articolo che andiamo esponendo il nostro mette in guardia dal pericolo del soggettivismo, che in questo caso è fortemente in agguato.
Nessun commento:
Posta un commento