martedì 19 gennaio 2021

La bellezza nell’età Romantica


Il Romanticismo è un periodo molto complesso, un periodo che richiederebbe un’analisi particolareggiata che ovviamente qui non posso fare. Però possiamo dire qualcosa sul rapporto fra questo periodo e l’idea di bellezza partendo forse da qualche autore.

Lo scrittore Giovanni Fighera, nel suo blog (giovannifighera.it) offre questa riflessione: “Così come per gli antichi (i Greci e i Latini), l’opera d’arte neoclassica si contraddistingue per l’armonia delle parti, per l’equilibrio, per la proporzione, per l’euritmia: considerazioni, queste, valide sia per la poesia che per l’arte (pittura, scultura, …), applicabili sia ai sonetti di Foscolo («In morte del fratello Giovanni», «Alla sera», «A Zacinto») sia alle sculture di Antonio Canova («Amore e Psiche», «Le tre grazie»). Per realizzare un’opera d’arte due sono le strade percorribili: imitare le opere classiche perfette o la natura. Sempre nel saggio Pensieri sull’imitazione dell’arte greca Winckelmann afferma, però, la «superiorità dell’imitazione degli antichi sull’imitazione della natura», facilmente dimostrabile se si prendono «due giovani d’ingegno ugualmente bello e facendo studiare all’uno l’antico e all’altro la sola natura». I risultati raggiunti sarebbero ben diversi nei due casi. Quando l’artista prende a modello una bellezza presente nella natura, la depurerà di tutte le impurità e imperfezioni, rendendo questa bellezza ideale. Passiamo ora all’estetica romantica cercando di cogliere gli aspetti che connotano un movimento assai complesso e vario nel suo manifestarsi. L’idea odierna di opera d’arte come espressione originale e del tutto soggettiva, nuova rispetto a tutto quanto precede, in un certo senso slegata dalla tradizione, nasce da un fraintendimento del Romanticismo. Infatti, anche in quest’epoca l’artista conosce e rispetta la tradizione e la utilizza, ma in modo del tutto diverso rispetto al Neoclassicismo. Il Romanticismo segna la nascita di una cultura originale tedesca, mentre il Rinascimento è stato un fenomeno italiano che si è, poi, irradiato in mezza Europa e l’Illuminismo, invece, un paradigma culturale sorto in Francia. La rivalutazione in chiave gnoseologica di fattori dell’umano sentire che travalicano l’uso della pura ragione si traduce, così, sul piano estetico in un apprezzamento da parte dell’artista di elementi come l’immaginazione, la fantasia, l’intuizione, la creatività, la spontaneità, la genialità intesa come capacità di mettersi in contatto con l’assoluto. Quest’ultima affermazione certo non significa, invece, che l’opera romantica nasca ex nihilo. Il Romanticismo vuole recuperare quella religiosità che l’Illuminismo francese ha ridotto al rango di superstizione o al campo della pura ragione. «Se si prende il termine «religioso» nel senso più vasto, forse si può trovare in questo l’elemento comune di tutte le multiformi esperienze del Romanticismo: quella romantica è infatti essenzialmente una cultura dell’«altro», quale che sia il nome che si vuol dare a ciò che in ogni caso trascende la possibilità di una riduzione in termini razionali, natura, inconscio, Dio, Nulla. Se l’Illuminismo aveva rappresentato l’illusione di un totale affidamento del mondo e della storia nelle mani dell’uomo, all’insegna della ragione legislatrice del reale, il Romanticismo rivendica lo spazio di un’oltranza sottratta al dominio del razionale» (E. Gioanola). Proprio per questo motivo, quindi, il Romanticismo tedesco può essere considerato una reazione all’Illuminismo francese”. Ecco, proprio in questa riflessione fatta da Fighera mi sembra che esista una chiara idea dei limiti e delle potenzialità dell’estetica romantica, un’estetica che recupera il concetto di religioso ma in senso spesso vago, potremmo dire quasi ambiguo.

Viene valorizzata la categoria del “sublime” che va ad amplificare quella di bello. Ci viene in aiuto Roger Scruton: “Questo punto è stato evidente almeno dal trattato di Edmund Burke On the Sublime and Beautiful del 1756. Burke ha individuato due risposte radicalmente distinte alla bellezza in generale, e alla bellezza naturale in particolare: una originata dall'amore, l'altra dalla paura. Quando siamo attratti dall'armonia, dall'ordine e dalla serenità della natura, per sentirci a nostro agio e da essa confermati, allora parliamo della sua bellezza; quando, tuttavia, come su qualche rupe di montagna mossa dal vento, sperimentiamo la vastità, la potenza, la minacciosa maestà del mondo naturale e sentiamo la nostra piccolezza di fronte ad esso, allora dovremmo parlare del sublime. Entrambe queste risposte stanno aumentando; entrambi ci sollevano dai normali pensieri utilitaristici che dominano le nostre vite pratiche. Ed entrambi implicano il tipo di contemplazione disinteressata che Kant avrebbe poi identificato come il nucleo dell'esperienza estetica” (Roger Scruton, Beauty). Cioè, nel sublime c’è anche un elemento di terrore, un elemento di forte timore verso qualcosa che è sconosciuto. Questo rientra anche nell’estetica romantica che dava molta importanza al timore verso le forze naturali. Byung-Chul Han sembra quasi commentare: “Edmund Burke libera il bello da ogni negatività: deve procurare solo un “piacere positivo”. Nel sublime invece è insita una negatività. Il bello è piccolo e grazioso, luminoso e delicato, ed è contrassegnato da levigatezza e uniformità. Il sublime è grande, massiccio, scuro, ruvido e rozzo, e causa dolore e spavento. Ma è salubre nella misura in cui mette in movimento l’animo in modo impetuoso, mentre il bello lo rilassa. Burke rovescia il dolore e lo spavento, provocati dal sublime, in una rinnovata positività, poiché purifica e ravviva. Cosí il sublime si mette totalmente al servizio del soggetto, e perde con ciò la sua alterità e la sua estraneità” (Byung-Chul Han, La salvezza del bello). Lo stesso filosofo aveva detto poco prima: “L’estetica del bello è un fenomeno genuinamente moderno. Solo nell’estetica della modernità il bello e il sublime non sono piú in rapporto fra loro. Il bello viene isolato nella sua positività. Il soggetto fortificato della modernità positivizza il bello trasformandolo in oggetto di piacere. Il bello viene perciò opposto al sublime che, a causa della sua negatività, non suscita sulle prime alcuna immediata sensazione di piacere. La negatività del sublime, che lo distingue dal bello, è di nuovo positivizzata nel momento in cui esso viene ricondotto e attribuito alla ragione umana. Il sublime non riguarda piú il fuori, il totalmente altro, ma è una forma espressiva dell’interiorità del soggetto” (Byung-Chul Han, La salvezza del bello). Molto interessante questa dinamica fra il bello e il sublime, una dinamica che ci potrebbe permettere di leggere la contemporaneità in un modo forse più originale e più penetrante.


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