Sono trascorsi 25 anni dalla morte del padre passionista Enrico Zoffoli, una figura importante nella teologia e nell’apologetica cattolica del secolo passato. Nato nel 1915 a Marino, fu (per sua ammissione) abbastanza scapestrato in gioventù per poi convertirsi grazie ad uno zio passionista. Entrerà nello stesso ordine religioso dello zio, approfondendo la sua fede cattolica con studi profondi, tra l’altro nell’università di Lovanio. Fu autore estremamente prolifico, a lui si deve la monumentale biografia in tre volumi per migliaia di pagine del suo fondatore, san Paolo della Croce. A lui si devono testi importanti di filosofia, teologia ed apologetica, oggi per la maggior parte fuori catalogo. Fu sempre attivo nelle sue battaglie in difesa della Chiesa e della fede, con testi in difesa dell’Eucarestia, del sacerdozio, della dottrina tradizionale della Chiesa contro le deviazioni portate avanti anche da alcuni movimenti ecclesiali.
Di particolare importanza è il suo testo sugli abusi della concelebrazione appena ripubblicato con il titolo In persona Christi da me curato a 30 anni esatti dalla prima edizione, con saggi inediti del Vescovo Mons. Athanasius Schneider e del liturgista Mons. Nicola Bux. Oggi che il tema della concelebrazione è tornato di moda, è un testo che vale la pena leggere con attenzione.
Io sono stato uno studente del padre Zoffoli, che fu membro della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino e stimatissimo da grandi teologi della scuola romana come Antonio Livi, Luigi Bogliolo, Dario Composta, Antonio Piolanti, Raimondo Spiazzi, Brunero Gherardini Ennio Innocenti ed altri. Ho conosciuto padre Zoffoli come un sacerdote innamorato della sua Chiesa e della fede, che ha difeso paolinamente in modo opportuno e inopportuno. Non si è mai tirato indietro dal confronto schietto e rispettoso, anche se esso era diretto ad illustri prelati. Prima del proprio status nella società e nella Chiesa, veniva il rispetto per la dignità e i diritti di Dio. Ho sempre sperato che il padre Zoffoli potesse un giorno essere più conosciuto, mons. Antonio Livi mi confidò nel nostro ultimo incontro che voleva introdurre il processo per la sua beatificazione. Certo, sarebbe degno di essere onorato sugli altari, perché visse tutta la vita in difesa della Chiesa e dei suoi diritti nella società. Purtroppo non sono tempi propizi per figure come la sua, ma spero che verrà un giorno in cui il suo nome, e quelli di altri come lui, tornerà ad essere considerato per quello che effettivamente merita.
Nessun commento:
Posta un commento