venerdì 17 aprile 2020

Alleluia, non allegro ma solenne

Nel tempo in cui non possiamo partecipare alla Messa, ci viene da riflettere sulle cose che ci mancano, sulle cose a cui non possiamo attendere personalmente. Una di queste, tra tante nella Messa, è l’acclamazione al vangelo. Io ho spesso riflettuto su questo momento, dicendo anche cose che possono essere giudicate come impopolari ma che per me sono profondamente vere. Una di queste riguarda il carattere che viene dato a questo momento liturgico in tante parrocchie, l’allegria, la festa, quasi il danzante. Ma in realtà queste sono mondanizzazioni di questo momento liturgico, il cui carattere corrisponderebbe al grave e solenne, che non vuol dire non gioioso. La gioia cristiana non è sfacciata, non è la gioia mondana. Gesù dice che ci lascia la pace, ci da la sua pace, che non è il pacifismo ma la riconciliazione di anime e cuori nella pace celeste. 
Se guardiamo al canto gregoriano, ci accorgiamo come gli alleluia siano gravi e solenni, ma nel contempo gioiosi. Non si ricerca una gioia puramente umana, ma tutto viene sempre trasfigurato in senso spirituale. Voglio riprendere un bel commento che lo scrittore Camillo Langone fece nel 2013 in occasione dell’uscita di un mio libro sulla liturgia su Il Foglio: “Santa Cecilia, prega per Aurelio Porfiri che essendo un musicista romano fedele a Santa Romana Chiesa vive e lavora a Macao. Nel “Canto dei secoli” (Marcianum Press) scrive ovviamente di musica sacra ma presenta criteri validi per giudicare la cattolicità di ogni altro linguaggio artistico, pittura e architettura comprese. La chiesa, dice Porfiri, dev’essere contenuto e non contenitore: ad esempio, l’organo è il suono della chiesa-contenuto (essendo intrinseco al sacro), la chitarra della chiesa-contenitore (essendo intrinseca alla musica profana e gettata nella liturgia dall’esterno). Ma la pagina che preferisco è la numero 80, laddove l’oggettività si fa anche soggettività, anche gusto. Porfiri è contrario a una musica liturgica che dia sempre e comunque una “rappresentazione della vita come gioia”. Anche a me, in chiesa, la musica gioiosa rende nervoso. Santa Cecilia, prega per noi poco amati amanti della musica liturgica austera, severa, perfino triste, noi che in chiesa cerchiamo ragione del dolore perché le ragioni del piacere si trovano dappertutto”. Da ottimo scrittore qual è Langone, ha saputo sintetizzare n poche righe quello che noi dovremmo aver capito. Visto che il canto gregoriano è il modello della musica liturgica, come ribadito anche da papa Francesco, ascoltiamo i tanti alleluia, per esempio Alleluia-Iustus, o Alleluia-Pascha nostrum e cerchiamo di capire che la gioia a cui si cerca di arrivare è quella dello spirito, non quella soltanto dettata dai fremiti del corpo. 
Il papa Francesco, in una delle sue messe a santa Marta nel 2018 spiegava la gioia cristiana, e così la sua omelia veniva riportata: “«La gioia non è vivere di risata in risata, no, non è quello» ha messo in guardia il Pontefice. E «la gioia — ha aggiunto — non è essere divertente, no, non è quello, è un’altra cosa». Perché «la gioia cristiana è la pace, la pace che c’è nelle radici, la pace del cuore, la pace che soltanto Dio ci può dare: questa è la gioia cristiana». Il Papa ha fatto presente che «non è facile custodire questa gioia». E «l’apostolo Pietro dice che è la fede che la custodisce: io credo che Dio mi ha rigenerato, credo che mi darà quel premio». Proprio «questa è la fede e con questa fede si custodisce la gioia, si custodisce la consolazione». Dunque «la gioia, la consolazione, ma soltanto è la fede a custodirla»“. La gioia cristiana non è divertimento, frenesia di movimento e di battiti di mani. Ho già dedicato un altro articolo a questi alleluia che spesso ci ritroviamo in chiesa, da quello detto “delle lampadine” ad altri. Abbiamo proprio deviato dalla retta spiritualità cristiana applicata alla liturgia. Parlando nella quarta domenica di quaresima del 2007, nel suo Angelus Benedetto XVI diceva: “Oggi la liturgia ci invita a rallegrarci perché si avvicina la Pasqua, il giorno della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Ma dove si trova la sorgente della gioia cristiana se non nell’Eucaristia, che Cristo ci ha lasciato come Cibo spirituale, mentre siamo pellegrini su questa terra? L’Eucaristia alimenta nei credenti di ogni epoca quella letizia profonda, che fa tutt’uno con l’amore e con la pace, e che ha origine dalla comunione con Dio e con i fratelli“. Quindi la vera letizia non è stare bene con noi stessi, festeggiare con gli amici con canti insulsi, ma radicarsi nella liturgia stessa, provando quella gioia che ci eleva alle bellezze della letizia celeste. Nel suo Discorso 337 per l’edificazione di una chiesa, Sant’Agostino che ha dedicato anche stupende al giubilo (jubilus) nel canto, dice: “Pertanto, come questo edificio visibile è stato costruito per radunarci materialmente, così quell'edificio, che siamo noi stessi, è costruito per Dio che vi abiterà spiritualmente. Dice l'Apostolo: Santo è infatti il tempio di Dio che siete voi. A quel modo che costruiamo questo con ammassi di pietre, edificheremo quello mediante atteggiamenti di vita che vi corrispondano adeguatamente. Questo si dedica ora, nel corso di questa nostra visita, quello sarà dedicato alla fine del tempo con la venuta del Signore, quando questo nostro, corruttibile, si vestirà di incorruttibilità, e questo nostro, mortale, si vestirà di immortalità: conformerà infatti il corpo della nostra umiliazione al suo corpo glorioso. Considerate infatti il senso che vuole esprimere nel Salmo della dedicazione: Hai mutato il mio lamento in festa per me; hai lacerato la mia veste di sacco, mi hai rivestito di un abito di gioia: perché la mia gioia sia per te un canto, ed io non sia ferito. Infatti, mentre veniamo edificati, la nostra miseria rivolge a lui i suoi gemiti; ma quando saremo dedicati, la nostra gloria sarà un canto per lui: in realtà la costruzione comporta fatica, la dedicazione apporta letizia. Finché si cavano le pietre dai monti e gli alberi dai boschi, si dà loro forma, si sgrossano, si combinano insieme, è fatica e preoccupazione; ma quando si celebra la dedicazione dell'edificio compiutamente realizzato, al posto delle fatiche e delle preoccupazioni, c'è gioia e sicurezza. Così pure quanto alla costruzione spirituale: chi l'inabita, Dio, non sarà presente per qualche tempo, ma per l'eternità. Mentre gli uomini sono allontanati da una vita di infedeltà e portati alla fede, mentre viene reciso e portato via tutto ciò che in essi è l'opposto del bene e perversione, mentre si fanno connessure appropriate, senza attrito e con devozione, quante tentazioni non si temono, quante tribolazioni non si tollerano? Però, al sopraggiungere del giorno della dedicazione del tempio dell'eternità, quando ci si dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, quale mai sarà l'esultanza, quale la perfetta sicurezza? Sarà il canto della gloria, la debolezza non si sentirà ferita. Quando ci si rivelerà colui che ci ha amato e ha dato se stesso per noi, quando colui che si mostrò agli uomini in quel che si fece nella Madre, si manifesterà loro Dio Creatore secondo quel che era nel Padre, quando egli, eternamente presente nella sua casa, all'entrarvi la troverà perfetta, adorna, costituita nell'unità, nella veste dell'immortalità, colmerà di sé tutte le cose e in tutte risplenderà, così che Dio sia tutto in tutti“.
La gioia che ricerchiamo è la gioia che viene da Dio, non quella puramente umana che se può essere gradevole al di fuori del Tempio, all’interno suona vuota e stonata.



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