Viviamo in un mondo in cui mostrare una facciata di comodo è spesso l’unico modo di sopravvivere, a volte è anche necessario. Non sempre siamo nelle condizioni di poter dire esattamente quello che pensiamo, senza il timore che le nostre parole possano causare più danni di quelli che intendono risolvere. Eppure il rischio di comportamenti del genere è molto elevato, in quanto a volte cominciamo a vivere in una realtà quasi parallela, in una realtà di finzione che a noi sembra quasi reale. Quante persone vivono nella finzione, quante persone si costruiscono un mondo comodo protetti (o almeno così loro credono) da titoli accademici, prestigio mondano, autorità e potere. Eppure ci viene detto che “la verità vi farà liberi”. Siamo qui nel vangelo di Giovanni 8, 31-42: “Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!». Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato”. Il dialogo fra Gesù e i Giudei ci fa venire in mente che è vero quel detto che dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Essi preferiscono vivere nella loro realtà senza interrogarsi se le parole di quel Rabbi potessero avere qualche parvenza di verità.
Perché la verità è spesso scomoda, ci scuote, ci sposta dai nostri pregiudizi e dalle nostre assunzioni. La verità a volte non è simpatica, comoda, confortevole. Essa può abitare in persone che ci sembrano inadeguate. A volte essa è urtante, fastidiosa, respingente. Eppure non c’è cosa più alta della verità, senza la quale continuiamo ad abitare nelle tenebre.
Sant’Agostino, in La Trinità (8,2) afferma: “Comprendi dunque, se lo puoi, o anima tanto appesantita da un corpo soggetto alla corruzione e aggravata da pensieri terrestri molteplici e vari; comprendi, se lo puoi, che Dio è Verità. È scritto infatti che Dio è luce (1Gv 1,5), non la luce che vedono i nostri occhi, ma quella che vede il cuore, quando sente dire: è la Verità. Non cercare di sapere cos'è la verità, perché immediatamente si interporranno la caligine delle immagini corporee e le nubi dei fantasmi e turberanno la limpida chiarezza, che al primo istante ha brillato al tuo sguardo, quando ti ho detto: Verità. Resta, se puoi, nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore che ti abbaglia, quando si dice: Verità. Ma non puoi, tu ricadi in queste cose abituali e terrene. Qual è dunque, ti chiedo, il peso che ti fa ricadere, se non quello delle immondezze che ti hanno fatto contrarre il glutine della passione e gli sviamenti della tua peregrinazione?”. Ci dice il grande pensatore che non dobbiamo cercare di sapere cosa è la verità; ma cosa significa? Significa che la verità è un qualcosa che sentiamo, più che comprendiamo. Il peso della verità tutta intera è troppo oneroso per le nostre povere forze e quindi dobbiamo contentarci di partecipare ad essa ma senza la pretesa di possederla, come se la verità fosse sul cloud, riprendendo una metafora tecnologica. San Bonaventura da Bagnoregio ha detto: “È insito nell'anima l'odio della falsità; ma ogni odio nasce dall'amore, perciò è molto più radicato nell'anima l'amore della verità e specialmente di quella verità per la quale l'anima è stata fatta“. Ecco perché noi riconosciamo la verità istintivamente anche se non sempre siamo portati ad aderirvi spontaneamente, in quanto la verità, come detto sopra, costa e ci è spesso difficile da sopportare. Spesso aderire alla verità non ci fa vivere bene, ci causa di essere rigettati e respinti, ma senza verità siamo nella falsità e questo è quanto corrode la nostra anima nel modo più pericoloso.
San Tommaso d’Aquino, riprendendo Aristotele, diceva che la verità è adaequatio rei et intellectus, l’adeguarsi dell’intelletto alla realtà della cosa. La verità quindi non è una creazione ma un abbandonarsi, un lasciarsi penetrare dal senso che già è lì presente. La verità è come la scultura nell’idea di Michelangelo, già presente in nuce nel marmo grezzo. Ma abbandonarsi alla verità è difficile, perché ci viene naturale fare resistenza, difenderci, cercare di sfuggirci. Preferiamo vivere nella schiavitù perché, come ho detto, la verità è difficile da sopportare. Essa porta fastidio, ci interroga continuamente, ci costringe a cambiare, a vedere dentro noi stessi. Ecco perché a volte coloro che riescono a portare vanti dei barlumi di verità sono strani, bizzarri, eccentrici. Essi per primi devono scontare il peso di quello che portano, spesso senza neanche saperlo. La verità non ê un pranzo di gala, ma una scalata su una montagna altissima, ma una scalata dopo la quale puoi veramente assaporare cieli e terre nuove.
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