giovedì 17 dicembre 2020

La bellezza in san Bernardo fra contemplazione e desiderio

 


Aver lasciato Sant’Agostino, non significa che lui lascerà noi. La sua ombra, la sua influenza e quella del pensiero platonico e neoplatonico saranno lunghe e persistenti, almeno per tutto il primo millennio dell’era cristiana. Non c’e’ dubbio, Sant’Agostino è uno dei pensatori chiave del cristianesimo e di tutta la filosofia occidentale. Nei secoli successivi alla scomparsa del grande santo, il suo pensiero verrà elaborato e rivissuto, la bilancia fra spirito e materia penderà drasticamente dalla parte dello spirito.

Per avere un esempio di questo ci dobbiamo spostare in Francia, in un villaggio chiamato Fontaines, vicino Digione. Questo villaggio oggi conta circa 9000 abitanti e non ha molti motivi per essere famoso eccetto uno: nel 1090, una nobile famiglia del suddetto villaggio darà alla luce un uomo che sarà destinato alla santità e sarà ricordato come una delle figure più luminose della teologia e spiritualità cristiane. Il suo nome è Bernardo di Chiaravalle. Egli sarà responsabile della fondazione di innumerevoli monasteri e, per i suoi straordinari meriti di apostolato in favore della sua congregazione, verrà ritenuto come una specie di fondatore dell’Ordine Cistercense di cui era membro. Morirà a Chiaravalle il 21 Agosto 1153 e sarà beatificato da Papa Alessandro III il 18 gennaio 1174, primo cistercense ad essere presente nel canone dei santi. Papa Pio VIII gli conferirà in seguito il titolo di “Dottore della Chiesa”.

Ma perché è importante considerare questo santo per lo scopo del nostro lavoro? In effetti, egli non lascerà nessun trattato di quella che in seguito verrà chiamata “estetica”. Quindi in quale modo egli entra nella nostra trattazione? Certo, se pure è vero che egli non scriverà direttamente di materie estetiche, è pure vero che i riferimenti che si trovano nel suo lavoro offrono materiale prezioso per la nostra riflessione. E di certo influenzeranno l’estetica cistercense e non solo. Come dicevamo, Bernardo si abbevererà del platonismo attraverso Sant’Agostino. Le sue idee che toccano temi estetici possono essere soprattutto trovate nel commento al Cantico dei Cantici, uno dei suoi capolavori (Sermones in Cantica Canticorum). 

Secondo Bernardo l’uomo può raggiungere la perfetta conoscenza, passando per varie fasi che egli chiama i quattro gradi dell’amore e i dodici gradi dell’umiltà.  Durante questo percorso l’anima incontra la bellezza. Come vediamo, la bellezza qui ha un valore meramente spirituale e in effetti l’uso che abbiamo fatto del termine “estetica” qui sembra di certo fuorviante. Non si tratta di un’estetica al servizio dei sensi corporei, ma di un’”estetica” spirituale, in cui il corpo ha un’importanza secondaria. In effetti il primo grado dell’amore è legato al corpo, l’amore di se stessi per sé. Il santo riconosce che si deve partire dalle cose corporee per poi elevarsi a quelle celesti. Il secondo grado è l’amore di Dio per sé, quindi si comincia ad avere un contatto con Dio ma ancora con il sé stessi al centro della riflessione. Il terzo grado è già pienamente spirituale, ed è l’amore di Dio per Dio, cioè amare Dio per quello che Lui è, non per quello che a noi serve. Il quarto grado, il più alto, è l’amore di sé per Dio. Cioè l’uomo ama se stesso non in sé, ma solo in Dio. Questo grado è il più alto, il più spirituale e mistico dei quattro. L’autore riferisce che probabilmente non saremo in grado di raggiungere l’ultimo grado in questa vita, ma solo nella vita futura. 

La bellezza, secondo san Bernardo, si incontra durante questo percorso che dalla materia va allo spirito. Quindi, la bellezza interiore è superiore alla bellezza esteriore. Anzi, la bellezza esteriore può anche essere “pericolosa” per via della sua sensualità. La bellezza spirituale è sempre da preferirsi alla bellezza materiale. Come detto, qui l’idea di bellezza è lontana dalle categorie estetiche a cui eravamo abituati con i greci e a cui sempre più ci abitueremo in seguito. Qui la bellezza è impalpabile, è interiore, è nascosta.  Nel sermone per la festa della Natività di san Giovanni Battista, il nostro santo dice: Non vogliate, ve ne prego o dilettissimi, considerare quelle cose che si vedono e che sono temporali. Ma considerate maggiormente le cose eterne e che non si vedono: secondo la fede e non secondo la faccia giudicate. La bellezza non è di questo mondo…

La bellezza spirituale è bella in modo assoluto, mentre la bellezza corporale è bella in modo relativo. Questo modo relativo può essere in comparazione con qualche altra cosa (ex comparatione), può essere bello rispetto qualche altra cosa (cum distictione), può essere parzialmente bello (ex parte). Quindi vediamo che la bellezza sensuale viene considerata sotto una duplice specie, positiva e negativa. Essa è riflesso di una bellezza più alta ma rappresenta anche un pericolo perché ci distoglie dalla vera bellezza, che è quella spirituale. L’arte soffrirà per secoli di questa duplice considerazione in seno alla chiesa cattolica, pur se, non bisogna dimenticare, essa sarà la patrona più munifica per gli artisti. 

Quali sono i quattro segni della cattiva arte? Essi sono rappresentati da quattro caratteristiche: essa è fatta per vanità (vanitas, superfluitas), per una dimostrazione di mera eleganza (curiositas),  come frutto di cupidigia (cupiditas) o per smania di esagerazione (turpis varietas). L’arte ornata comunque, ci dice Bernardo, non è da negare per se stessa, ma è inadeguata agli uomini che rinunciavano a tutto per Dio. Il target del nostro santo, non è da dimenticare, era il monaco. Bisogna stare attenti a quella arte che pur sembra innocua. Il nostro santo avrebbe detto che colorare i ritratti dei santi non li fa più santi (Ostenditur pulcherrima forma sancti vel sanctae alicujus, et eo creditur sanctior, quia coloratior).

Questa era “Deformis formositas ac formosa deformitas”: deforme bellezza e bellezza deformata. In seguito si dovrà meditare di più questo passaggio che ci dice molto sulla spiritualità del nostro santo.

Da questi principi nasce quella che oggi definiamo come architettura cistercense. Leggiamo nel sito dell’ordine cistercense: In tutte le abbazie sorte nel corso dei secoli XII e XIII in tutta l’Europa gli elementi comuni non sono tanto l’ubicazione materiale legata a precise norme strutturali o stilistiche quanto una necessaria espressione formale della stessa esigenza di essenzialita’, della stessa tensione dinamica che da’ vita alla realta’ di fatto del monachesimo cistercense. Questa essenzialità sarà la linea guida della architettura cistercense, questo scavare nel materiale per arrivare ad eliminare tutto ciò che non è necessario e salvare solo quello che è appena utile per salpare verso il mare dello spirituale. La chiesa cistercense è come il salvagente che è utile al monaco per rimanere a galla nel mare dello spirito.

E non si pensi che questo tipo di riforma ispirata ai principi di san Bernardo riguardasse soltanto l’architettura: anche il canto gregoriano farà le spese del bisogno di essenzialità cistercense. Tra il 1134 e il 1140 i cistercensi lavorano ad una riforma del canto liturgico volta a semplificare ciò che era percepito come superfluo, tagliando melismi e cercando di diminuire l’ampiezza melodica delle cantilene.  Tutto ciò era frutto dei principi di Bernardo stabiliti anche nel suo Sermones in Cantica Canticorum (PL 183, C. 1001): “Pulchrum interior speciosus est omni ornatu extrinseco”.

Nell’Apologia del nostro San Bernardo si trova un passaggio famoso in cui il nostro santo condanna le esagerazioni artistiche probabilmente ascrivibili all’ordine cluniacense: Ma nel chiostro, sotto gli occhi dei fratelli che lì stanno leggendo, che profitto c’è in questi ridicoli  mostri, nella meravigliosa e deformata avvenenza, quel avvenente deformità?”. E da qui parte una descrizione degli animali mitologici che si trovavano nel chiostro di Cluny fatta con autentico acume letterario. Un acume che farà sospettare il nostro Umberto Eco: Noi siamo consapevoli [attraverso questa descrizione] che san Bernardo era come molti altri mistici e teologi del tempo – Pier Damiani, l’Aquinate, i Vittorini, san Bonaventura -  nel sapere come emettere le condanne della poesia con tutto lo stile di un poeta. Infatti alcuni di questi poeti-teologi hanno prodotto lavori che sono tra i più significativi nella letteratura latina medioevale. C’è qualcosa in più in san Bernardo, comunque, un certo gusto nelle sue descrizioni della flora e fauna scolpite in abbazie e cattedrali; egli ha l’occhio inquisitorio di un voyeur mistico, denunciando oggetti che provocano il suo ardore e la sua gratificazione estetica. Quello che sta attaccando, lo affascina” (Umberto Eco, “The aesthetics of Thomas Aquinas”, p. 9). Ricordiamo che proprio Umberto Eco userà quel passaggio dell’Apologia e lo metterà sulle labbra del Monaco Jorge, proprio per mettere in guardia dalla bellezza esteriore.

Come commentare l’affermazione di Umberto Eco? Certo si percepisce che Bernardo è affascinato da ciò che descrive, ma e’ proprio per questo motivo che egli ritiene giusto mettere in guardia i suoi monaci. In effetti, egli descrive questa bellezza come “bellezza deforme”, cioè una bellezza che è pur sempre bellezza ma che perde la sua conformazione a Dio per avvincere i nostri sensi nelle sue spire. Se nell’intenzione di Umberto Eco c’è una sottile malizia credo che qui sia malriposta. Certamente il nostro santo è avvinto dalla bellezza di ciò che descrive ma non ne è vinto. Se non si fosse attratti dalla bellezza, non sarebbe bellezza. Questo non significa ogni bellezza sia buona, come detto precedentemente. Alcune tipi di bellezza sono fuorvianti, non conducono a Dio ma allontanano da lui. Noi li chiamiamo bellezza, con un termine unico, ma forse altri nomi sarebbero più adeguati.

Ma Bernardo non aveva fatto i conti con un altro monaco, un monaco che era di certo molto lontano dalle sue visioni estetiche. Il suo nome era Suger, abate di San Denis. Era conosciuto da Bernardo? Eccome! In effetti l’oggetto delle rimostranze del nostro santo era proprio questo monaco, che rappresentava il polo opposto da un punto di vista estetico. Egli non vedeva nulla di male nella materialità della visione artistica, anzi proprio gli piaceva.  Egli vedeva simbolismi nelle elaborate architetture di chiese e abbazie: Io confesso che io consideravo che ogni cosa di valore deve servire innanzitutto per l’amministrazione della Santa Comunione. I calici dorati per ricevere il sangue di Gesù, pietre preziose e tutto ciò che è di valore nella creazione dovrebbe essere mostrato con grande onore e piena devozione. I nostri oppositori obbiettano che una mente pia un cuore puro e intenzioni fiduciose dovrebbero essere abbastanza per questo. E noi, anche, ammettiamo che queste dovrebbero essere le cose più importanti. Ma affermiamo che noi dovremmo dare onore con ornamenti esteriori fatti di vasi santi, con tutta la purezza interiore e con lo splendore esteriore” (De Administratione XXXIII).

In effetti, anche nella descrizione dell’altare della sua chiesa, il nostro Suger si distanzia enormemente dall’estetica cistercense. Queste due tendenze faranno il bello e il cattivo tempo, con una lunga e secolare vittoria di Suger sulla tendenza cistercense. Ma il meglio non è ancora arrivato.




















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