martedì 15 dicembre 2020

La riflessione sulla bellezza dai greci a Plotino

 

Noi, figli della civiltà occidentale, civiltà sicuramente di matrice cristiano-giudaica, spesso ci dimentichiamo quali sono i nostri padri culturali. Non possiamo certo rinunciare al nostro specifico cristiano, ma questo, nella sua assolutezza, si è dovuto “far piccolo” ed accettare un medium culturale in modo che potesse essere fruito da noi, uomini di ogni tempo ed epoca. Ora, noi ben sappiamo come un influenza potente, che va al di là della sola civiltà cristiana in verità, l’abbia avuta la civiltà greca. Siamo, in fondo in fondo, anche figli dei greci. Abbiamo ricevuto molti degli schemi di pensiero che ancora oggi utilizziamo proprio da loro, come il dono di un a padre ad un figlio. 

Attraverso il pensiero di questi buoni pagani ci siamo fatti cristiani. Ci si deve scandalizzare di questo? Manco per sogno. Mi permetto di citare san Paolo (che scriveva in greco, manco a farlo apposta) nella sua prima lettera ai cristiani di Tessalonica (5, 19-21): Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Questo sommo principio paolino fu ascoltato e praticato abbondantemente dai primi cristiani che dovettero affrontare la non semplice sfida di inculturare la propria fede. E il logos greco fece al caso loro. Nel cristianesimo si unirono civiltà ebraica e civiltà greca, in modo mirabile.

Questo ha a che fare anche con il nostro tema della bellezza? Eccome! Vedremo come la visione cristiana della bellezza sarà filtrata attraverso il pensiero greco e come molti dei nostri teologi si sono abbeverati agli schemi di pensiero forniti dai grandi filosofi greci per travasarci la Buona Novella. Quindi, non si potrà pienamente comprendere il rapporto tra teologia ed estetica se non ci si chiarisce prima sulla fonte comune, anche se con gradazioni diverse: la civiltà greca, la culla della civiltà occidentale. Attraverso questo capiremo più e meglio in seguito.

Ora, oggi noi usiamo dire di una musica, pittura, ragazza o idea che è proprio bella. Bene, questo non ci fa problema. Ognuno di noi, secondo una certa visione estetica, dà giudizi e dice che alcune cose sono proprio belle. Ma questo “bello”, come lo concepiamo? Cosa vogliamo dire quando diciamo che qualcosa  “è proprio bello”? La domanda non sembri peregrina. In effetti, anche per i nostri amici greci, almeno fino a circa 25 secoli fa, anno più, anno meno, la bellezza era un poco una cosa misteriosa. Essa non aveva uno statuto autonomo. Cosa significa? Significa che essa veniva sempre associata con altre caratteristiche, come ordine, simmetria, armonia, ma un essere in sé non gli veniva ancora riconosciuto. Umberto Eco dice che questa bellezza era “legata con le varie arti che la rappresentavano” (History of Beauty, p. 41).  Ma anche qui dobbiamo un attimo soffermarci. In effetti i greci non avevano neanche una parola autonoma per “arte”: Il fatto che i greci non hanno un termine equivalente ad “arte” nel suo senso estetico, riflette il fatto che l’attività artistica non era considerata come qualcosa di “autonomo”, qualcosa valido “per se stesso”. Musica e scultura, per esempio, avevano tipicamente una funzione religiosa, cerimoniale o civica, mentre la poesia e il teatro avevano un ruolo importante sia nell’educazione della gioventù che nel disseminare informazioni. È essenziale avere in mente questi ruoli delle arti che allora erano comuni per capire la nota ostilità di Platone verso le arti, specialmente verso la letteratura. Per esempio, una ragione per cui l’epica, come quella di Omero, doveva essere “bandita” dalla società che la Repubblica Platonica rappresentava, è che la “impersonificazione” da parte dei ragazzi ateniesi di eroi e dei immorali o deplorevoli, non doveva avere posto in una educazione il cui fine principale era la formazione del carattere(Key Writers on Art: From Antiquity to the Nineteen Century, a cura di Chris Murray, 2003 Londra – Routledge, 3). Come vediamo arte e bellezza condividevano lo stesso destino “etimologico” ma con una ragione che penso ora sia ben chiara.  Quindi fino a circa il V secolo A.C., l’età di Pericle (che sembra fu patrono esimio di artisti e pensatori), la situazione era quella sopra esposta.

Un nome che dobbiamo affrontare, parlando del pensiero greco, anche se molto di sfuggita, è quello di Socrate (469-399). Nell’età di questo grande pensatore la bellezza era molto importante. Anche per gli uomini politici, il portamento e il modo di comportarsi erano elementi importanti della loro intera personalità. Questo perché, in quel tempo, bello e buono erano strettamente correlati nella mentalità della gente comune. Ma il problema era che Socrate non era bello per niente, secondo le fonti dell’epoca. Eppure egli susciterà un’attrazione potentissima sui suoi seguaci, passioni violente (cfr. Stanford Encyclopedia of Philosophy). La sua idea della bellezza era piuttosto connessa alla funzionalità della stessa a qualcosa altro, ma è interessante notare come con lui si comincia a pensare in un modo diverso. Sarà forse l’influenza di questo “cattivo maestro” (agli occhi di molti suoi compaesani) che innescherà una delle intelligenze che segneranno la storia del pensiero occidentale. Già, perché un allievo del nostro Socrate, un giovane poeta che lo seguiva dal 407 A.C., si preparava a lasciare un’impronta ancora oggi leggibile sulla nostra cultura e anche sulla concezione della bellezza. Con lui faranno i conti innumerevoli filosofi e teologi, artisti e scienziati. Insomma, avrete capito: sto parlando di Platone (?427-347). 

Egli fu impegnato a vario titolo nella vita politica del suo tempo. Come tutti i grandi rivoluzionari del pensiero, consapevoli dell’importanza di quanto portano avanti, egli cerca di formare le giovani generazioni; infatti fonda una scuola, l’Accademia, in cui li istruiva nella matematica e nella filosofia. Egli si assenterà per due volte per periodi prolungati dalla sua scuola, per visitare Siracusa in Sicilia, dove sperava che le sue idee politiche potessero essere applicate. Non sarà così. Eppure, malgrado i suoi insuccessi politici in vita, egli sarà destinato ad essere uno dei fari della civiltà occidentale ed uno dei più influenti filosofi anche nell’ambito del pensiero cristiano, insieme al suo studente Aristotele. Insomma, Platone non può essere eluso.

Nel suo dialogo giovanile chiamato Fedone, sentiamo Socrate discutere con Simmia e dire cose che saranno per noi interessanti: Noi diciamo, senza alcun dubbio, che vi è l’eguale, non voglio dire nel senso di un pezzo di legno che è uguale a un altro pezzo di legno o di una pietra eguale a a un’altra e così via, ma alludo a qualcosa che è all’infuori di tutti questi oggetti equali, diversa, cioé all’Eguale in sé. Dobbiamo dire che esiste o no?” Certo che dobbiamo affermarlo, disse Simmia. Cosa intendeva dire con questa uguaglianza nell’astratto? Certamente una pietra è diversa da un’altra pietra ma tutte e due sono pietre. Ci sono bellezze diverse ma tutte le definiamo “bellezza”. Fin qui il ragionamento di Platone nel Fedone, che a me sembra abbastanza chiaro e ragionevole. Ora portiamolo avanti. Ci viene detto che queste forme partecipano ad una eguaglianza in astratto. Insomma, un cavallo è diverso da un altro cavallo, ma nessuno dei due è la “cavallità”. Così una cosa è bella e anche un’altra è bella, ma esse non sono “la” bellezza in sé, pur partecipandone. Questa viene definita “la dottrina delle idee”. Avrà un’influenza che penso sarà evidente sul pensiero successivo, anche in ambito teologico.

In uno dei dialoghi sommi di Platone, La Repubblica, leggiamo: Gli amanti delle recite e degli spettacoli”, spiegai, “apprezzano le belle voci, i bei colori, le belle forme e tutto ciò che viene prodotto con questi elementi, ma il loro animo è incapace di vedere e apprezzare la natura del bello in sé ”. È proprio così”, disse. “E non saranno rari coloro che riescono a giungere al bello in sé e a vederlo nella sua essenza?””E come!”.”Chi dunque riconosce l’esistenza di cose belle, ma non del bello in sé, e non è capace di seguire chi lo guida verso la sua conoscenza, ti sembra che viva in uno stato di sogno o di veglia? Rifletti su questo punto. Sognare non vuol dire forse che uno, sia nel sogno sia da sveglio, considera due cose che sono si assomigliano non solo simili tra loro, ma addirittura la stessa cosa?”” (V).  Insomma, come sarà infelice colui che scambia queste copie terrene per l’originale? Ecco l’idea implicita nel pensiero platonico.

Il fatto di dare giudizi estetici su qualsivoglia cosa ci permette anche un’altra cosa importante, che è quella di classificare. Se diciamo che qualcosa è più bello di qualche altra cosa ciò significa che in noi c’è un criterio estetico che necessariamente si confronta anche con un criterio fuori di noi. Se io dico che questa scuola è meglio di quell’altra scuola, ciò significa che ho un idea assoluta di scuola che mi permette di classificare le singole idee relative. Così accade per la bellezza. Noi non possiamo con i nostri sensi fare nostra la Bellezza assoluta, ma riusciamo a gustare le manifestazioni particolari di questa bellezza. Eppure queste manifestazioni particolari ci rimandano ad un assoluto che non ci è possibile percepire qui.

Per fare questo, non è da dimenticare, bisogna mettere in conto il ruolo che ha la “categorizzazione”. Ciò significa che attraverso successive esperienze, il nostro cervello crea una specie di archivio in cui vengono poi confrontate tutte le nuove conoscenze. Quindi quando noi vediamo, ascoltiamo, odoriamo qualcosa, nella nostra fantastica mente si verifica un processo di confronto con precedenti sensazioni che danno come risultato il modo come noi gestiamo questa nuova esperienza. Così accade anche per la bellezza. Quindi il gusto per ciò che noi riteniamo importante e di valore va anche educato. Non perché molte persone non sanno apprezzare uno stile di musica liturgica più complesso e raffinato significa che esso va evitato, se veramente pensiamo che esso possa fare loro del bene. Il loro gusto è frutto del processo di categorizzazione vissuto all’interno di una specifica cultura che è pesantemente condizionata dal baillamme massmediatico. Quindi se non si percepisce immediatamente la bellezza nelle sue forme più sublimi che la Tradizione ci ha lasciato, ciò non è colpa della bellezza in sé ma della atmosfera culturale che può favorire o impedire questa fruizione. L’operatore pastorale serio ne deve tener conto.

Ma, tornando a Platone, ora dobbiamo rimarcare un punto già precedentemente affrontato. Quando diamo un giudizio estetico ciò significa che esiste un valore assoluto a cui fare riferimento. Se esso non ci fosse ogni giudizio di valore lascerebbe il tempo che trova. Quindi ciò ci riporta alla necessità dell’esistenza delle forme essenziali. La conoscenza vera è quella che ci mette in grado di riconoscere le forme ideali nelle loro incarnazioni terrene. Questo concetto platonico, lo ritroveremo anche in ambito cristiano. Noi siamo sempre chiamati a riconoscere l’opera di Dio nella Creazione, la Bellezza assoluta (che è Dio) nella bellezza relativa (che è il creato). La nostra vita è un aspirare alla conoscenza perfetta, e questa, secondo Platone, la dà solo la filosofia.

Questa filosofia che ci dice qualcosa di importante anche sull’Eros. Esso, se veramente ben diretto, è esclusivamente puntato alla conoscenza della vera Bellezza. L’amore fisico, la sessualità, secondo questo pensiero, sono una forma degradata dello stesso, una sua interpretazione non confacente. Ecco cosa significa quando sentite la frase “amore platonico”. Un amore che trascende il piacere sessuale per più alti traguardi. L’amore, come impariamo dal Fedro di Platone, è anche divina follia. Perché follia? Perché esso si sente spinto a raggiungere la bellezza ma il corpo umano imprigiona questa voglia di assoluto.

L’arte, per Platone è bella e terribile, o forse è terribile in quanto è bella. Essa ha un potere immenso sulle persone e questo potere, come visto sopra, porta con sé anche un pericolo, che è quello di pervertire gli animi. La bellezza va gestita, in modo che essa non sia un’”arma di distruzione di massa” ma un elemento importante nella formazione del carattere, specialmente per le giovani generazioni. Sul peso dell’arte ci sarà poi una posizione di Aristotele che attraverso il concetto di catarsi, in un certo senso, vorrà correggere alcune posizioni del suo maestro Platone. Ma la concezione di Platone sarà grandemente influente sugli sviluppi futuri, su cui ci soffermeremo in seguito,  dell’estetica, della filosofia e della teologia.

Ho vissuto anni fa in una città moderna. Una città come ce ne sono tante in giro per il mondo. La mia era in Asia, ma per molti aspetti non era diversa da qualsiasi città europea o italiana. Uno di quegli aspetti che decisamente accomunava la mia città con tutte le altre era quello che viene definito come “sessualità libera” o “liberazione sessuale”. Cosa significa? Significa che il sesso, non viene più vissuto puramente nella sfera intima delle persone ma esso può (e per alcuni, deve) essere esibito, vissuto senza tabù o pudori. Quindi, in giro per le strade, si vedevano non infrequentemente immagini di donne (nella schiacciante maggioranza dei casi) che ostentavano il loro corpo alla pubblica ammirazione e alla privata concupiscenza. Foto, filmati, TV, Internet, tutto concorreva a questa pubblica ostentazione. Ed era un qualcosa da cui non era semplice distogliere l’attenzione. La debolezza della carne offusca la nostra capacità di controllarci e rende più difficile che il nostro pensiero (per non dire del resto...) rimanga esente dal fuoco della passione. Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologica, tratta le passioni (anche di questo tipo) con mirabile intuito psicologico e con lungimirante sapienza pastorale. La bellezza che ci attrae attraverso la sensualità non va scacciata con proclami da virtuosi. Questo mi sembra importante da ribadire, il moralismo non è mai la soluzione, è soltanto una bugia che noi diciamo a noi stessi per cercare di sentirci migliori quando non lo siamo.

Già, perché il problema è che i corpi di quelle donne (parlando da uomo) erano belli, erano attraenti. Ora, parlando di bellezza e di teologia, ci troviamo ad dover dirimere una questione delicata sull’uso di questa parola. Ciò che ci salva è bello (il più bello dei figli dell’uomo....) ma anche quello che ci perde è bello. Pensiamoci, tra le tentazioni possibili (denaro, potere, fama...) quella a cui si può riservare la parola “bellezza” è proprio quella legata alla sessualità. Se ti domandano perché ti piacciono i soldi, difficilmente risponderai: perché sono belli. Ma se ti domandano perché ti piace quella donna (o quell’uomo, per le donne) la risposta tipica è: perché è bella. Ora, nel trovare qualcuno bello, non c’è nulla di peccaminoso, ma quando la bellezza ci perde allora ci si deve fermare un attimo a riflettere. La bellezza salverà il mondo? O forse lo perderà? O queste domande non sono poste, qui, nella giusta maniera?

La nostra riflessione precedente su queste pagine, si era soffermata sul contributo dei greci, i classici del pensiero occidentale, sul tema della bellezza. Si era valutato particolarmente l’insegnamento di Platone, la bellezza come ideale sommo che si presenta incompleto in tanti “particolari” terreni: perfette, semplici, immutabili e beate erano le visioni a cui eravamo iniziati e che contemplavamo in una luce pura, anche noi puri senza questo sepolcro che ora portiamo in giro chiamandolo corpo, legati ad esso come ostriche(Platone, “Fedro”, versione italiana di D. Fusaro reperibile in www.filosofico.net.).

Il corpo è come una prigione che ci impedisce di protendere verso la bellezza assoluta. Questo pensiero, pur se andiamo semplificando, non sarà dimenticato nello sviluppo del pensiero cristiano. Abbiamo già appurato in precedenza che Cristo, venuto a riportare ordine nella Creazione, venuto a ristabilire il cosmico contro il caotico, è Bellezza. Ma come metterla con questa parola che ci salva e ci perde? Come avranno fatto i nostri predecessori nella fede a mettere d’accordo queste due dimensioni? Si deve cominciare dando uno sguardo a uno dei periodi d’oro della riflessione teologica e filosofica: il Medioevo.

Ora, bisogna cominciare a mettere tutto in prospettiva, una prospettiva che da quanto detto or ora penso sia già chiara. I greci, per la loro speculazione filosofica ed “estetica” si ricollegavano alla natura; i medioevali si ricollegavano invece proprio ai Greci. Umberto Eco ci dice che mentre per i primi si può parlare di fenomenologia della natura, per i secondi è corretto parlare di fenomenologia di una tradizione culturale (Art and beauty in the Middle ages, pag. 4).  Ma a cosa si riferivano esattamente i pensatori del medioevo quando parlavano di bellezza? Quando gli Scolastici parlavano di bellezza, si riferivano con questo a un attributo di Dio. La metafisica della Bellezza (in Plotino, per esempio) e la teoria dell’arte erano in nessun modo relazionati. L’uomo “contemporaneo” mette un valore esagerato nell’arte perché ha perduto il senso per la bellezza intellegibile che i Neo-Platonici e i medioevali possedevano...qui ci stiamo occupando di un tipo di bellezza di cui l’estetica è ignara(E.R.Curtius, European literature and the Latin Middle Ages, pag. 224 in U. Eco, op. cit., pag. 5). Quindi bisogna essere prudenti e tenere a mente questa fondamentale distinzione. Qui non si parla solo della bellezza in senso “estetico” (scienza che, di per sé, verrà codificata molto più tardi). Qui la bellezza è un modo di essere di Dio. Ma come porre in relazione queste dimensioni? È difficile rispondere. Possiamo solo osare di carpire qualche brandello di senso viaggiando da un pensatore all’altro.

San Metodio di Olimpo (+ 311) ci avverte che Cristo si compiace della bellezza che è immateriale e spirituale(Il banchetto delle dieci vergini, discorso 7). Come vediamo questa concezione della bellezza come immateriale e spirituale farà molta strada nel medioevo e influenzerà con più o meno veemenza un grande numero di pensatori. Ci troviamo all’opposizione fra corpo e spirito, fra materia e incorporeo. Certo non bisogna pensare che questa opposizione sia stata sempre così netta ma certo è esistita e ancora oggi i rivoli di questa concezione non cessano di farsi sentire. Questa opposizione fra corpo e spirito per quello che riguarda la bellezza sarà importante da tenere a mente, in quanto le concezioni della bellezza in un senso o nell’altro hanno poi influenzato pesantemente le idee estetiche e teologiche delle generazioni successive.

In effetti nel medioevo, per esempio, abbiamo anche un famoso problema con le immagini, una fase storica piuttosto complessa, un fenomeno che prende il nome di iconoclasmo. Con questo nome si intende quel movimento religioso che proibiva di venerare le immagini sacre, perché così facendo si sarebbe caduto nell’idolatria. Quindi un problema artistico non da poco. C’era anche chi si spingeva all’estremo, come varie sette eretiche che pensavano la materia essere in se stessa cattiva e quindi di conseguenza respingevano immagini e tutte le forme visibili del culto. Non possiamo qui dimenticare anche l’influenza del dualismo manicheo su questo modo di pensare ed agire. Quando preghiamo davanti ad una Madonna di Raffaello, veneriamo la Madonna o Raffaello? Per noi non c’è dubbio che è la Madonna l’oggetto delle nostre preghiere, ma il tranello che si cela fra l’estetico e l’estatico non deve essere sottovalutato, senza per questo andare a parare nell’iconoclastia. Come leggere un’opera d’arte? Il sopra citato Umberto Eco ci parla di tre possibili vie d’interpretazione riconducibili ai tre elementi “produttivi di senso” di un’opera d’arte: intentio autoris (il pittore, il compositore, l’architetto...), intentio operis (il quadro, il mottetto, la chiesa....), intentio lectoris (il fruitore del lavoro in questione). Attraverso quale di queste tre vie noi abbiamo la verità di un’opera d’arte? La risposta non è semplice e non va certo banalizzata in poche righe. 

Ma riprendiamo il nostro cammino nel medioevo. Dicevamo di Platone e della sua indubbia influenza sul pensiero occidentale e in special modo dei medioevali. Bisogna soffermarsi su un pensatore che precede la riflessione medioevale, un pensatore che fungerà da filtro del pensiero platonico che distillerà per i futuri pensatori che faranno la gloria della filosofia e teologia occidentale: stiamo parlando di Plotino (204-270). Non è  che si sa molto della sua vita e potrebbe non essere un caso. Infatti il filosofo in questione non doveva essere uno a cui le questioni meramente materiali e pratiche interessassero molto. Si racconta, ma potrebbe non essere vero, che si rifiutò di posare per un ritratto in quanto riteneva il suo corpo essere di nessuna importanza. Il problema non era meramente la concezione del suo corpo, ma che questa concezione sarebbe derivata da un certo suo disdegno per la materia. Comunque, concezioni corporali a parte, dobbiamo dire che Plotino è uno dei filosofi più importanti per quello che riguarda l’introduzione del platonismo nell’agone medioevale; in effetti sarà l’iniziatore di quel filone del pensiero occidentale che prende il nome di neo-platonismo. Perché gli è preso di ispirarsi proprio a Platone? Perché il suo insegnante, Ammonio Sacca, era un filosofo platonico. E a questo scambio da maestro ad allievo dobbiamo anche la nostra conoscenza di Plotino, che ci deriva attraverso il suo allievo Porfirio che all’inizio del quarto secolo metterà ordine nei trattati del maestro, pubblicandoli con il nome di Enneadi (perche’ suddivisi in sei gruppi, ognuno fatto di nove trattati).

Da Platone, Plotino riprende il tema del sommo bene, noi lo possiamo definire anche il sommo Bello. Ma Plotino preferisce identificare questo Ente con il nome di Uno, l’Unità suprema. L’uomo, attraverso l’esperienza mistica ma anche attraverso la ragione tenta di carpire questa unità suprema. Ma come tornare a questa unità ? Rientrando in se stessi e quindi ricongiungendosi all’origine.  L’eterno ritorno, un tema anche caro ai teorici della tradizione, ecco uno dei pilastri importanti del pensiero di Plotino. Possiamo sentire in questo ciò che risuonerà per noi più potentemente nella riflessione di Sant’Agostino, a cui ci avviciniamo per gradi con timore e tremore.

Il nostro Plotino si occuperà anche di bellezza nei suoi scritti. Nel primo capitolo delle Enneadi egli affronterà il problema e lo farà proprio facendosi una domanda (vedi sopra), che prende le mosse da un ragionamento; talvolta i corpi umani sono belli, altre volte no.  Quindi, si domanda il nostro filosofo, cosa è quel qualcosa che si manifesta in certe forme materiali piuttosto che in altre? La domanda è ben posta. Perché alcuni suoni, colori, forme vengono da noi percepite come belle mentre altre no? Plotino definisce questo come l’inizio naturale della sua investigazione. La prima risposta che egli riferisce su cosa dia vita alla bellezza è una risposta che si rifà alla grande tradizione classica: la bellezza è simmetria. Ciò che non è completo o non ordinato non possiamo chiamarlo bello.

Ma Plotino, bontà sua, non si ferma qui e continua ad interrogarsi: pur riconoscendo una verità in quanto esposto sulla simmetria, non può non notare come questa categoria non si sposi con tutta la concezione del bello: e la bellezza della virtù? Come possiamo conciliare questo con la simmetria, che simmetria c’è nella bellezza della legge? Allora Plotino sviluppa la sua riflessione e ci offre un’altra interpretazione: l’anima, riconosce nel bello un qualcosa che le appartiene (Plotino dice che l’anima riconosce questa bellezza “per l’autentica verità della sua natura”), il bello risveglia nello spirito l’anelito per una passata appartenenza o per una presente incoscienza di se stessi. L’anima tende all’origine. 

Ma ancora Plotino si domanda: ma cosa c’è in comune fra la bellezza qui e la bellezza assoluta? La bellezza si manifesta nel trionfo del principio di Unità che ordina le parti. Bellezza quindi, è unità formale. Dove l’Ideale-Forma è entrato, ha raggruppato e coordinato ciò che da una diversità di parti era destinato a divenire una unità. Ciò che si ri-unisce sotto questo principio della Bellezza è bello nel tutto come nelle sue singole parti. Questa unità che dà vita alla Bellezza interpella un unità ben più assoluta, una unità che anela al supremo, l’Uno. 

Cosa cui dice questa riflessione di Plotino? L’Uno è l’inconoscibile che si è autocomunicato attraverso il Figlio. Il Figlio quindi è Splendor Paternae Gloriae, è il volto di Dio che noi possiamo contemplare e donare alla contemplazione. Plotino è considerato uno dei massimi esponenti della teologia negativa: cosa puoi dire su Dio? Meglio pensare a cosa Dio non è. Il dire di Dio, della sua Bellezza, per noi, anche riferendoci, prescindendolo, a Plotino, è riconoscere nella Bellezza del Figlio l’avvio della teologia positiva.  Ma questa bellezza del Figlio è talvolta misteriosa, esso è il più bello dei figli dell’uomo ma anche il servo sofferente. Quale dei due opposti è l’immagine della Bellezza a cui fare riferimento? Inoltre, come dicevamo all’inizio, la bellezza per noi si presenta anche come un possibile pericolo, perché essa attrae e talvolta viene usata per scopi che la allontanano dalla sua natura originaria. Quale teologia della Bellezza? Come approcciarla? La riflessione successiva ci guiderà su altri sentieri affascinanti e gravidi di senso. 













Nessun commento:

Posta un commento