martedì 3 marzo 2020

Andrò all’altare di Dio

Ci sono forse poche questioni controverse e dibattute come quella dell’altare e del suo orientamento liturgico. Libri, saggi, dibattiti, hanno posto in luce come sulla questione dell’altare e dell’orientamento dello stesso si sono spese milioni di parole. Se osserviamo quanto viene detto sull’altare nell’Ordinamento Generale del Messale Romano troviamo quanto segue (296-308, sottolineature mie): “L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la Messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia. La celebrazione dell’Eucaristia, nel luogo sacro, si deve compiere sopra un altare; fuori del luogo sacro, invece, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale, la croce e i candelabri. Conviene che in ogni chiesa ci sia l’altare fisso, che significa più chiaramente e permanentemente Gesù Cristo, pietra viva (1Pt 2,4; cf. Ef 2,20); negli altri luoghi, destinati alle celebrazioni sacre, l’altare può essere mobile. L’altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare. L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli. Normalmente sia fisso e dedicato. L’altare, sia fisso che mobile, sia dedicato secondo il rito descritto nel Pontificale Romano; tuttavia l’altare mobile può essere solamente benedetto. Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella Chiesa, la mensa dell’altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può adoperare anche un’altra materia degna, solida e ben lavorata. Gli stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi materiale, purché conveniente e solido. L’altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio e solido, confacente all’uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle diverse regioni. Si mantenga l’uso di deporre sotto l’altare da dedicare le reliquie dei Santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l’autenticità di tali reliquie. Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa. Nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l’attenzione dei fedeli dal nuovo altare. Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il Corpo e il Sangue di Cristo, si distenda sopra l’altare sul quale si celebra almeno una tovaglia di colore bianco, che sia adatta alla struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento. Nell’ornare l’altare si agisca con moderazione. Nel tempo d’Avvento l’altare sia ornato di fiori con quella misura che conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del Signore. Nel tempo di Quaresima è proibito ornare l’altare con fiori. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste. L’ornamento dei fiori sia sempre misurato e, piuttosto che sopra la mensa dell’altare, si disponga attorno ad esso. Infatti sopra la mensa dell’altare possono disporsi solo le cose richieste per la celebrazione della Messa: l’Evangeliario dall’inizio della celebrazione fino alla proclamazione del Vangelo; il calice con la patena, la pisside, se è necessaria, il corporale, il purificatoio, la palla e il Messale, siano disposti sulla mensa solo dal momento della presentazione dei doni fino alla purificazione dei vasi. Si collochi pure in modo discreto ciò che può essere necessario per amplificare la voce del sacerdote. I candelabri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione festiva (Cf. n. 117), siano collocati o sopra l’altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia dell’altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare. Inoltre vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato. Conviene che questa croce rimanga vicino all’altare anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, per ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore”. Ci sarebbero veramente tantissime cose da dire su queste disposizioni, che implementano una certa visione della riforma liturgica non completamente prevista dalla costituzione conciliare. Una delle questioni è appunto proprio quella dell’orientamento dell’altare. Comunque, viene anche qui ribadito l’importanza del ruolo dell’altare. Nella Enciclopedia delle Religioni diretta da Mircea Eliade, in un articolo scritto da Carl-Martin Edsman (1911-2010) viene detto sull’altare che, sia nel latino che nel greco, il significato si riferisce ad un “luogo elevato” e la derivazione di questa parola sarebbe, in latino, dal verbo adolere, con il significato di “adorare, luogo per il fuoco, focolare per il sacrificio”. Nell’antico Egitto, prosegue l’autore, c’era una distinzione fra altari mobili e altari fissi, ma soltanto questi ultimi erano considerati oggetti sacri.
San Paolo, in 1Cor 10, 19-23 dice: “Che cosa dunque intendo dire? Che la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa? No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui? "Tutto è lecito!". Ma non tutto è utile! "Tutto è lecito!". Ma non tutto edifica”. Come vediamo, c’è in Paolo questa forte distinzione fra i sacrifici pagani e il nuovo sacrificio nel nome di Cristo. Una distinzione, che non intende denigrare tanto quanto compiuto in epoca pagana, ma mostrare che Cristo portava a compimento tutte le promesse e rivelava la verità valida per tutti.
E l’idea di altare, come abbiamo visto in precedenza, c’è questo senso di “luogo che sta in alto“ e “luogo del sacrificio“. Spesso accade, anche nei nostri canti liturgici degli ultimi decenni, che si fa riferimento all’altare come il luogo attorno a cui ci si raduna. Ma in questo senso dobbiamo stare attenti, perché sembra quasi che il centro dell’attenzione sia sull’assemblea, non tanto sul luogo del sacrificio. “Al tuo santo altar, mi appresso o Signor, mia gioia e mio amor”; in questo caso, in questo canto è che va già molto indietro nel tempo, l’enfasi rimane sempre sull’altare che rimane un riferimento, dove il fedele si affretta. Ma in molti canti che fanno riferimento al radunarsi intorno alla mensa e mettono l’enfasi sui fedeli piuttosto che sul sacrificio, si tradisce non solo la funzione dell’altare ma anche quella della liturgia che, come dobbiamo sempre ricordare, non è quella di far radunare un certo numero di persone ma quella di dare gloria a Dio e successivamente e in conseguenza di edificare i fedeli. Non possiamo edificarci su noi stessi, Dovremmo sempre pensare a questo quando pensiamo non sono il nostro ruolo nella liturgia, ma anche al ruolo dei vari elementi liturgici, come per esempio l’altare di cui stiamo parlando. Quindi, questa enfasi sull’assemblea è del tutto fuori luogo.
Ma se l’altare è luogo privilegiato, non dimentichiamo che l’altare più sublime è la croce. Ben lo spiega dom Prosper Guéranger commentando la festa di Cristo Re: “Meglio che nelle altre preghiere del santo sacrificio, nel Prefazio è proposta alla fede e alla pietà dei credenti l'esatta nozione teologica della regalità di Cristo. Come Figlio unico del Padre, al quale è coeterno e consostanziale, il Verbo incarnato comunica alla sua santa umanità, in virtù dell'unione ipostatica, la doppia unzione divina del Sacerdozio e della Regalità. In virtù del sacrificio redentore sull'altare della Croce, come per la nascita eterna, egli sottomette al suo indistruttibile imperio tutte le creature in un regno di Verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore, di pace" (P. de la Brière, Études, t. 186, p. 358)”. 
In una intervista a Lorenzo Bertocchi su La Nuova Bussola Quotidiana, don Nicola Bux fa questa osservazione: “Benedetto XVI aveva proposto e attuato, laddove il sacerdote non potesse celebrare rivolto fisicamente ad Oriente, di mettere la Croce sull’altare “verso il popolo” in modo che celebrante e fedeli avessero il punto verso cui orientarsi entrambi. La Croce e soprattutto il Tabernacolo, stanno ad indicare la Presenza del Signore crocifisso e risorto, che è quanto di più sacro ci sia e che rende la liturgia 'sacra', come recita la Costituzione liturgica. In poche parole, la “riforma della riforma”, secondo quella che mi sembra sia stata la mens di Benedetto XVI, postula la rinascita del sacro nei cuori. Laddove nei singoli rinasce il senso del sacro ecco che lì comincia e si attua la “riforma della riforma”. Invece, verrebbe da aggiungere, si è data sì enfasi sull’altare, ma non come luogo del sacrificio, ma come mensa, facendo in modo che la nozione di “sacrificio”, conoscesse una sorta di oblio. 
Don Enrico Finotti dice cose molto profonde sul tema dell’altare: “E’ normale che venga individuata l’origine dell’altare cristiano nella mensa del cenacolo, sulla quale nostro Signore istituì il Sacrificio eucaristico e il Convivio sacro del suo Corpo e del suo Sangue. Veramente la mensa dell’ultima cena è il referente originario e originante dell’unico e definitivo Sacrificio del Nuovo Testamento. Da qui parte quell’oblazione pura che dall’oriente all’occidente è offerta fra le genti e in ogni luogo (Ml 1, 11). Occorre tuttavia approfondire e non fermarsi ad una facile visione superficiale, che potrebbe svuotare quel Sacrificio della sua profonda sostanza per fissarsi nella debole espressione di un ordinario convito umanitario ed usuale. In realtà, quando la famiglia ebraica si riuniva per la cena pasquale si relazionava in modo intimo e indissolubile con l’altare del tempio di Gerusalemme, sul quale in antecedenza veniva immolato l’agnello, che portato sulla mensa domestica consentiva la celebrazione della Pasqua. Senza quella vittima sacrificata sull’ara del tempio e trasferita poi sulla mensa delle case, la cena pasquale perdeva la sua identità. La relazione all’immolazione dell’agnello nel tempio era tanto necessaria che, per celebrare la Pasqua, si doveva alloggiare a Gerusalemme o nelle vicinanze. Non era, infatti, possibile stare fuori Gerusalemme, ossia lontani dal tempio, perché dal tempio veniva l’agnello immolato e ad esso rimandava. La cena pasquale ebraica era dunque una cena sacrificale, un banchetto mediante il quale si partecipava della vittima sacrificale. Ed ecco che mensa ed ara si trovano intimamente unite, geneticamente e indissolubilmente interiori l’una all’altra. Tolta l’ara è compromessa totalmente la natura di quella specifica mensa imbandita per la cena pasquale. Nel cenacolo però il Signore opera la novità e crea la realtà di quello che fino ad ora era figurato nelle antiche profezie e nel sacrificio dell’agnello.  Egli immola incruentamente se stesso nel contesto ancora visibile del segno profetico dell’agnello, che come ombra sta ormai per scomparire e cedere il posto alla realtà, Cristo Gesù, col suo Corpo e il suo Sangue  immolati nelle specie sacramentali del pane e del vino. E’ evidente che, nel mentre lo sguardo del Signore si ritrae ormai dalla figura dell’agnello che passa e dall’ara del tempio su cui fu immolato, si fissa con divina preveggenza e immedesimazione mistica sull’ara della Croce, che lo attende sul Calvario. Egli, infatti, anticipa sacramentalmente sulla mensa della cena e nella forma del convito il sacrificio cruento che avrebbe offerto di li a poco sull’altare della Croce. La Croce, quindi entra nel cenacolo si pianta sulla sua mensa e, mentre l’antica ara del tempio si ritira, avendo assolto la sua funzione profetica, si erge ormai sovrana quale sostanza interiore di ciò che si compie nell’ultima cena e che si ripeterà per tutti i secoli fino alla fine del mondo per comando del Signore: Fate questo in memoria di me. Mensa, Ara e Croce, ecco i tre simboli interiori e indissolubili del mistero grande che si compie nell’istante consacratorio quando il Signore, pronunziando le parole divine - Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…-, istituisce il Sacrificio perenne, senza più tramonto. Le tre figure di riferimento – mensa, ara e croce – prima ancora di trovare espressione fisica nell’altare cristiano sono presenti nella sostanza stessa dell’atto sacrificale di Cristo e costituiscono, ancor prima di trovare la loro traduzione materiale nella liturgia, la forma interiore dell’atto sacrificale del Signore. Nel Cenacolo è visibile solo la Mensa, l’Ara del tempio è richiamata dall’agnello immolato, la Croce ancora non si vede, ma tutto è presente e unitario nella mente divina e nel cuore amante del Salvatore”. Queste belle e profonde parole dell’insigne liturgista, ci fanno intravedere la profondità del mistero dell’altare in relazione con la croce e con la sua funzione di mensa. Qui non ho toccato la questione dell’orientamento liturgico, che meriterebbe una trattazione separata. Comunque, mi sembra che in questo articolo è chiaro come la teologia dell’altare dovrebbe essere separata da una certa visione comunitarista e centrata sull’assemblea piuttosto che sul mistero che viene celebrato.



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