sabato 7 marzo 2020

Polifonia e canto dell’assemblea

Quando si pongono delle questioni come fossero contrapposizioni, si rischia di non riuscire mai a trovare una soluzione. Questo è certamente quello che è accaduto, devo dire specialmente da parte di molti liturgisti, quando si è voluto mettere il repertorio polifonico tradizionale della Chiesa cattolica contro il canto dell’assemblea. Cioè, veniva (e viene) detto, che le grandi composizioni polifoniche del passato ma anche del presente, così come il canto gregoriano (che polifonico non è) impedirebbero la partecipazione dell’assemblea. Tutto questo viene invocato “in nome del Concilio”. 
Eppure lo stesso Concilio, nella costituzione Sacrosanctum Concilium, dice qualcosa di molto diverso: “La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne. Il canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai romani Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel culto divino. Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera un'espressione più soave e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle qualità necessarie. Perciò il sacro Concilio, conservando le norme e le prescrizioni della disciplina e della tradizione ecclesiastica e considerando il fine della musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli, stabilisce quanto segue. L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo. Quanto all'uso della lingua, si osservi l'art. 36; per la messa l'art. 54; per i sacramenti l'art. 63; per l'ufficio divino l'art. 101. Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra. Si promuovano con impegno le « scholae cantorum » in specie presso le chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori d'anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l'assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente, a norma degli articoli 28 e 30. Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche. Per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra. Si raccomanda, inoltre, dove è possibile, l'erezione di istituti superiori di musica sacra. Ai musicisti, ai cantori e in primo luogo ai fanciulli si dia anche una vera formazione liturgica. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30”. Sarò io, ma me sembra che questi documenti dicano tutt’altro. A proposito del canto gregoriano viene anche detto: “Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole”. Cioè si chiede di curare ancora di più i libri liturgici che riguardano il canto gregoriano. 

Ovviamente, quando si ha un approccio ideologico, è molto difficile ragionare su qualunque cosa. Per alcuni liturgisti, sembra che il vero scopo non sia la partecipazione del popolo, ma eliminare tutta quella grande tradizione musicale e artistica della Chiesa cattolica, per dei motivi che è veramente difficile comprendere (o forse no) da fastidio. In realtà, il loro è un concetto sbagliato di partecipazione. La partecipazione, come ci insegna la buona pedagogia della liturgia, è anche interna. Cioè, anche ascoltare è partecipare, come chiunque dotato di ragione può comprendere. L’ascolto di un brano liturgico appropriato, anche se eseguito dal coro, ci aiuta ad elevarci al mistero divino. In fondo, quando le persone vanno a un concerto, anche se non stanno suonando quelle composizioni, partecipano con il loro ascolto. Quindi, l’accusa che viene spesso lanciata ai cori, che la liturgia “non è un concerto”, è veramente fuori luogo. Fuori luogo, perché anche in un concerto si partecipa, ognuno a modo suo. Ma, naturalmente, come detto in precedenza, quando c’è un approccio ideologico non si può ragionare. In realtà, in alcuni casi è anche possibile unire la partecipazione dell’assemblea con il canto del coro. Penso per esempio all’esperienza delle messe alternate, quando ci sono delle messe gregoriane in cui si alterna il canto del popolo e la polifonia. Ma anche in quel caso c’è un problema per alcuni liturgisti, perché sono in latino, l’esecrabile latino. Allora, immaginiamo un direttore di coro veramente di buona volontà, che cerca di accontentare l’incontentabile parroco. Allora eseguirà una messa in italiano dove ad alcune parti polifoniche si alterna l’assemblea; ma anche in quel caso non va bene! Perché “il coro non deve esibirsi, deve solo cantare con l’assemblea“ (cioè rinnegare se stesso). Insomma, non ne va mai bene una. E non di rado capita che questi sacerdoti sono poi quelli che infarciscono la liturgia di discorsi di tutti tipi e di tutte le fogge. Il coro non si deve esibire, ma per loro si può fare una ben consolidata eccezione! Insomma, qui non si tratta di essere a favore o contro il Concilio, si tratta di essere a favore o contro delle persone che agiscono solo guidate da una malsana ideologia.

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