lunedì 2 marzo 2020

Canti allegri e canti tristi

Ho un’esperienza che va molto indietro nel tempo per quanto riguarda il servizio liturgico e musicale nelle chiese, specialmente a Roma. Da quando ero adolescente, quindi molti anni fa, mi capitava di suonare, dirigere, cantare, comporre musica per moltissime chiese nella mia Roma. Io, per età, sono stato naturalmente attivo in questi anni del dopo concilio, quindi ne ho subito tutte le conseguenze. Una delle cose che mi ha sempre colpito, era la richiesta di fare dei canti “allegri“. Ora, questa richiesta, anche in tempi in cui magari ero meno preparato in questi argomenti, mi faceva sempre pensare. Perchè bisogna fare i canti allegri? Dopo, con un po’ con più di riflessione e di studio, ho capito che questa richiesta era soltanto il frutto di una cattiva comprensione del ruolo della musica nella liturgia. In effetti, bisognerebbe capire che non usiamo la musica nella liturgia come intrattenimento. Se fosse così, allora fare dei canti allegri sarebbe giusto. Ma sarebbe giusto solo per un certo tipo di intrattenimento, per esempio per il cabaret. Ma non possiamo ridurre la liturgia a cabaret. Ricordo alcuni decenni fa, dovevo suonare a un funerale in una bellissima chiesa del centro di Roma, e il celebrante, oggi prelato noto a livello internazionale, mi raccomandò di suonare delle cose allegre perché la gente era già triste di suo. Anche in quel tempo, in cui, ripeto, ero certamente meno formato, questa richiesta mi parve assurda, proprio perché capivo che in questo modo veniva tradito il compito specifico della musica nella liturgia.
La musica nella liturgia, non deve essere né triste, né allegra, ma austera. Questo, perché deve adeguarsi alla sacralità dell’azione che si va compiendo in quel momento. Quindi, quando si parla della musica liturgica e si dice che bisogna fare dei canti allegri, si sta solo cercando di fare dell’intrattenimento. Questo è un tradimento profondo dello spirito della liturgia stessa, perché ricordiamo che musica e liturgia sono intimamente connesse.
Il noto scrittore Camillo Langone, recensendo un mio volume sul canto liturgico nel 2013, ebbe a dire: “Santa Cecilia, prega per Aurelio Porfiri che essendo un musicista romano fedele a Santa Romana Chiesa vive e lavora a Macao. Nel “Canto dei secoli” (Marcianum Press) scrive ovviamente di musica sacra ma presenta criteri validi per giudicare la cattolicità di ogni altro linguaggio artistico, pittura e architettura comprese. La chiesa, dice Porfiri, dev’essere contenuto e non contenitore: ad esempio, l’organo è il suono della chiesa-contenuto (essendo intrinseco al sacro), la chitarra della chiesa-contenitore (essendo intrinseca alla musica profana e gettata nella liturgia dall’esterno). Ma la pagina che preferisco è la numero 80, laddove l’oggettività si fa anche soggettività, anche gusto. Porfiri è contrario a una musica liturgica che dia sempre e comunque una “rappresentazione della vita come gioia”. Anche a me, in chiesa, la musica gioiosa rende nervoso. Santa Cecilia, prega per noi poco amati amanti della musica liturgica austera, severa, perfino triste, noi che in chiesa cerchiamo ragione del dolore perché le ragioni del piacere si trovano dappertutto“. Ho sempre trovato questa ultima frase è molto bella, non tanto perché detta in riferimento al mio libro, ma perché penso che dica una profonda verità: ridurre la musica liturgica soltanto a espressione di una vaga idea di “”gioia”, è veramente tradirne lo scopo, e non comprendere l’uomo nella sua totalità, che è anche gioia, ma non solo. Oltretutto, come detto in precedenza, la musica nella liturgia non è espressione di alcune identità particolari, come quelle di coloro che partecipano; ma è sforzo di santificazione che guarda sempre allo splendore di Dio. Chi cerca l’intrattenimento nella liturgia, il divertimento, la musica per poter battere i piedi, ha completamente frainteso la funzione del rito liturgico nella nostra vita cristiana. Questo fraintendimento, purtroppo, non è un fenomeno isolato; anche al di fuori della musica, molti sacerdoti si comportano da intrattenitori, riempendo la Messa di discorsi che la stessa non richiederebbe. Molti sacerdoti dicono che le loro “monizioni“, servirebbero per rendere più chiaro lo svolgimento della liturgia ai fedeli. Ma, io mi chiedo, se dopo più di cinquant’anni devi ancora spiegare la liturgia ai fedeli, allora non è vero che la riforma liturgica ha reso la stessa più comprensibile. Se ci devi dire al momento del Padre nostro, che “stiamo per pregare il Padre nostro”, sembra che non sei convinto neanche tu di questa riforma liturgica, e non saresti il solo.

Insomma, non bisogna cadere nell’errore di far divenire la liturgia un intrattenimento, e quindi favorire una musica cosiddetta allegra, perché forse si passerà una buona ora in compagnia di alcuni amici cantando delle canzoni che si trovano piacevoli, perché in questo modo si sarà completamente mancato lo scopo ed il motivo per cui si era in quel luogo.

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