Un libro pubblicato molti anni fa può essere un utile occasione di confronto fra diversi modi di approcciare la storiografia. Una figura interessante in questo senso è quella di Gaetano Negri (1838-1902), figura poliedrica di politico, combattente, filosofo e storico. Nella sua voce su treccani.it, Marco Soresina dice: “Tra le opere maggiori vi sono due ricostruzioni sotto il profilo storico, etico e poetico dell’opera della scrittrice inglese George Eliot (Mary Anne Evans), G. Eliot. La sua vita e i suoi romanzi (ibid. 1891), allora praticamente sconosciuta in Italia, e dell’imperatore del IV secolo Flavio Claudio Giuliano (L’imperatore Giuliano l’apostata. Studio storico, ibid. 1901, che ebbe anche una edizione inglese nel 1905), nelle quali l’analisi è inframmezzata da digressioni di ordine morale, da intuizioni letterarie, da forzature analitiche, imprecisioni e anacronismi condotti però con una prosa coinvolgente, di alta divulgazione, che piacque al pubblico. Il suo orizzonte filosofico era improntato a un disincantato agnosticismo, che si nutriva della positiva fiducia nelle scienze ma non rinnegava il fascino e l’esigenza di una metafisica, né la natura di sorgente di conoscenza e di etica del sentimento religioso. Da tali presupposti derivavano anche le oscillazioni di pensiero e le contraddizioni irrisolte presenti nelle sue opere. Negli scritti di filosofia (il principale: Meditazioni vagabonde. Saggi critici, ibid. 1897) fu soprattutto studioso dei problemi morali, che affrontò con sereno spirito razionalista, ma con procedere non sistematico“. Un figlio del diciannovesimo secolo, insomma, il cui testo sull’imperatore Giuliano (331-363) è certamente affascinante. Giuliano tentò nel quarto secolo un ritorno al paganesimo contro la marea montante del cristianesimo. Se lo leggiamo con gli occhi attuali, possiamo dire che tentativi in questo senso non sono assenti nella nostra società, anche se a mio avviso il pericolo maggiore non ci viene da un ritorno al paganesimo ma da una discesa nel nulla, e questo è esattamente quello che viviamo.
Nel testo L’Imperatore Giuliano l’Apostata, Negri ci offre nella prefazione alcune idee sul suo approccio storiografico: “Lo studio, la narrazione di un episodio religioso non dev'essere nè un'apologia nè un attacco; dev'essere un'imparziale, serena, diligente esposizione degli avvenimenti e delle cause che li hanno prodotti. Questo metodo di critica perfettamente oggettiva non deve offendere nessuna coscienza, per quanto delicata, poichè una religione, quale sia l'origine sua, viene pure a contatto con gli uomini, ed è quindi necessariamente perturbata, oscurata dall'elemento umano, e soggetta a tutte le vicissitudini che quell'elemento subisce col passar dei secoli“. Quindi, egli tenta un approccio il più oggettivo possibile, considerando che egli non parte, da quello che sappiamo, da posizioni confessionali. Dice ancora: “Generalmente la storia dei fatti religiosi si fossilizza o nell'ammirazione irragionevole di tutto, anche di ciò che non può esser ammirabile, perchè è il prodotto dell'azione disturbatrice che l'uomo vi ha esercitata, od in un'avversione non meno irragionevole anche di ciò che dev'essere rispettato, perchè è l'espressione genuina dell'irresistibile aspirazione dell'anima umana all'infinito“.
Nel testo l’autore ci da una idea del perché il tentativo di Giuliano, rispetto a quello di suoi predecessori, fosse in un certo senso più pericoloso: “Nessuno dei persecutori del Cristianesimo era mai entrato nel merito del Cristianesimo. Lo si perseguitava perchè lo si credeva pericoloso per la società e per lo Stato, ma nessuno s'incaricava di esaminarlo nelle sue basi filosofiche e storiche. Il lavoro critico di Celso era rimasto presso che isolato. Ora, qui si presentava un imperatore, il nipote di Costantino, il quale si dichiarava apostata del Cristianesimo e pretendeva di giustificare la propria apostasia con la dimostrazione dell'irragionevolezza e della mancanza di base storica di una religione che ormai pareva vittoriosa d'ogni resistenza. Nulla poteva riuscire più offensivo alla Chiesa, la quale s'era già avvezza a dominare sovrana assoluta, ed a cui, pertanto, doveva parere intollerabile ogni discussione sulla sua autorità. Il giavellotto di un Persiano la tolse, in breve, da ogni preoccupazione, ma non cancellò la memoria del paventato ed odioso tentativo, ed essa se ne vendicò condannando il nome di Giuliano all'obbrobrio e la sua storia ed i suoi libri ad un immeritato oblio“. A mio avviso, molto meglio il tentativo di Giuliano che quello di altri che non ne mettono in discussione le premesse teologiche e filosofiche. Pensiamoci bene, se il Cristianesimo è la Verità, non deve temere una sfida al suo sistema di pensiero che non può che essere vittoriosa per i djscepoli di Cristo.
Giuliano si appassionò allo studio dei Misteri: “Egli teneva ancora celate le sue convinzioni religiose, ma ciò non gli impediva di infervorarsi negli studi ed anche nella conoscenza dei Misteri, che costituivano il principale atto di culto di quel simbolismo politeista di cui Giuliano voleva fare la religione del mondo“. La lettura che Negri offre dell’evoluzione della Chiesa in quei secoli potrebbe essere certo contestata: “La Chiesa, negli anni precedenti la sua vittoria finale, si era profondamente trasformata per effetto della lenta elaborazione de' suoi elementi, avvenuta fra le intermittenti persecuzioni del secondo e del terzo secolo, ed aveva colmato l'abisso che la separava dal mondo. Nella morale, era discesa dalle pure altezze del Vangelo e del Cristianesimo primitivo e si era avvicinata allo stoicismo; nella filosofia, aveva costrutto un grande edificio teologico, adoperandovi i materiali del platonismo; nel culto, aveva plasmato le sue cerimonie su quelle dei Misteri. Infine, era riuscita ad organizzare un Cristianesimo pratico ed accettabile dal mondo“. Quanto questo Cristianesimo fosse “pratico ed accettabile al mondo” sarebbe ampiamente da dimostrare, ma vero è che la penetrazione del messaggio cristiano, come ci si poteva aspettare, fu capillare. Ma in Negri sentiamo echi di un certo pensiero che poi da noi dominerà selvaggio negli ultimi decenni: “La Chiesa accettò le divisioni dell'amministrazione romana, le prese le sue idee di gerarchia, e sentì il desiderio di avere un gran numero di funzionari. La preoccupazione delle cure mondane le fece dimenticare quell'amore della debolezza e della povertà che era stato in origine la sua forza d'attrazione“.
Una osservazione di Negri, per concludere, mi sembra particolarmente interessante e da approfondire: “Se non che, io qui vorrei fare un'osservazione che risulterà meglio chiarita nel progresso di questo studio, ed è che il Cristianesimo ha vinto il Neoplatonismo non solo per effetto delle sue virtù, ma anche per quello de' suoi vizi. Infatti, il Cristianesimo, fin dai primi suoi tempi, si era costituito disciplinarmente e si era creata un'organizzazione gerarchica. Fu l'esistenza di questa gerarchia che persuase Costantino a farsi un'alleata della Chiesa cristiana, la quale da quell'alleanza ebbe il suo riconoscimento, diventando uno degli elementi costitutivi del complicato e putrido organismo dell'impero romano-bizantino. Ma il Cristianesimo doveva necessariamente pagare la sua vittoria coll'infettarsi di tutti i mali di cui era afflitta la potenza mondana a cui si abbracciava, e noi già vedemmo come l'ideale della moralità cristiana andasse a rifugiarsi nei conventi e nei cenobî degli asceti. Il Neoplatonismo, il quale non aveva mai saputo organizzarsi, ed era rimasto allo stato di un'opinione, di un'aspirazione, di una dottrina personale, non offriva all'Impero nessuna forza, nessuna nuova risorsa, e l'Impero lo sprezzò“. Insomma, la riflessione del confine fra purezza evangelica e potere mondano, una riflessione che non era solo attuale ai tempi di Giuliano o ai tempi di Gaetano Negri, ma lo è sempre di più anche nei tempi nostri.
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