giovedì 12 marzo 2020

Quello che non abbiamo più

Per chi vive in Italia, in questi giorni di marzo, sono giorni surreali. L’epidemia di coronavirus ci costringe a starcene chiusi dentro casa, con misure sempre più restrittive giustificate dal legittimo desiderio di contenere un contagio che in certi momenti sembra inarrestabile. Proprio questa privazione di libertà nel muoversi ci fa ripensare a tutte le cose che normalmente siamo in grado di fare e che ora non possiamo fare, ci fa pensare a quello che non abbiamo più. Certo, come individui questo lo proviamo anche grazie ad una malattia, ma questo che abbiamo oggi è oramai un sentimento collettivo, un’ansia sociale, una emozione condivisa.
A me personalmente manca di poter andare al supermercato, aggirarmi tra i banconi e poter fare le mie scelte mischiandomi con gli altri clienti. Mi manca di poter guardare le vetrine dei negozi, mi manca di poter salutare qualcuno che incontro per la strada, mi manca di poter fermarmi a chiacchierare con qualche negoziante, che magari mi conosce da bambino. Mi manca di poter prendere un autobus affollato, mi manca di poter camminare senza senso per la mia Roma, mi manca di poter osservare in un angolo la varia umanità che mi passa di fronte e non aver paura di loro. Mi manca il rigoglio della frutta fresca nei banchi dei negozi, i vari tipi di pizza dai fornai, i troppi libri che vorrei ma che non posso leggere nelle librerie. Mi manca di poter andare in ospedale se non mi sento bene, di poter mischiarmi ad altre persone che come me vanno lì con tanta speranza sperando di essere curate e guarite. Mi manca di poter entrare nelle chiese, di avere i miei dialoghi segreti che non vengono disturbati dai turisti che entrano ed escono, ma anche di poter osservare la storia della nostra fede così gloriosa e splendente. Mi mancano le basiliche, richiese grandi, ma anche quelle piccole, dove mi sento più riparato, dove mi rifugio quando voglio che il mio rapporto con Gesù sia più discreto, senza troppi occhi che ci osservano.
Mi mancano le liturgie curate, con la consapevolezza che quello che si celebra è la cosa più preziosa che abbiamo, mi mancano i canti adatti, le parole giuste, i testi stabiliti; ma questa, purtroppo, non è una mancanza recente.
Mi mancano le campane, i fiori sugli altari, le edicole mariane lungo le strade, davanti cui fermarmi anche per pochi secondi e ricordarmi alla Madonna insieme alla mia famiglia e a tutti quelli che mi sento di ricordare. 

Mi mancano i profumi della vita vera che si svolge al di fuori del mio palazzo, l’umanità che soffre e gioisce, che parla di cose inessenziali come se fossero essenziali, e questa a volte è la nostra salvezza. Mi mancano i pranzi con gli amici, le chiacchiere su questo e quello, i ristoranti che conoscono e che mi sanno servire. Mi mancano le targhe commemorative nelle strade che leggo e rileggo, perché in esse c’è anche la mia memoria in quanto parte di una comunità.  Mi manca di poter viaggiare, di vedere altri luoghi e vivere altre vite. Chissà, forse è questo il lato positivo di questo altrimenti maledetto virus, quello di farci sentire fortunati per quello che abbiamo e che speriamo di riavere presto, quando tutto questo sarà finito. Nel frattempo alcuni non ce l’avranno fatta, alcuni saranno stati idioti mettendo in pericolo altre persone per la loro idiozia, altri avranno perso tanto, forse troppo. Ma la vita ricomincerà, ci sarà un momento in cui tutto questo sarà alle spalle e la vita sembrerà la solita, quella vita per cui ci sembrano scontate tutte quelle cose che adesso ci appaiono così preziose.

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