lunedì 10 febbraio 2020

La bellezza della liturgia a servizio della evangelizzazione

Il beato Giuseppe Allamano (1851-1926) diceva: “La liturgia ben fatta ha operato conversioni; se mal fatta le impedisce“. Credo che questa frase sia profondamente veritiera e potrebbe essere applicata anche alla musica sacra; se essa è ben fatta favorisce la preghiera, quando è mal fatta la impedisce. Non si riflette mai abbastanza suo fatto che la bellezza della liturgia ha una importanza fondamentale, perché non è fine a se stessa. Dietro la bellezza c’è sempre la verità, di cui la bellezza è una porta.
Benedetto XVI, al punto 35 della Sacramentum Caritatis afferma: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l'amore. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell'armonia del cosmo (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20). Nell'Antico Testamento poi troviamo ampi segni del fulgore della potenza di Dio, che si manifesta con la sua gloria attraverso i prodigi operati in mezzo al popolo eletto (cfr Es 14; 16,10; 24,12-18; Nm 14,20-23). Nel Nuovo Testamento si compie definitivamente questa epifania di bellezza nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo: Egli è la piena manifestazione della gloria divina. Nella glorificazione del Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre (cfr Gv 1,14; 8,54; 12,28; 17,1). Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; « il più bello tra i figli dell'uomo » (Sal 45 [44],3) è anche misteriosamente colui che « non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi » (Is 53,2). Gesù Cristo ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l'amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr Mc 9,2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell'azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l'azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria”. Ma purtroppo queste parole del papa Benedetto XVI cadono nel vuoto.
La bellezza non è estetismo, come giustamente nota il Papa. E se la bellezza nella liturgia non converte, potete immaginare la bruttezza cosa possa fare. Ecco perché la cura della musica nella liturgia dovrebbe essere un compito fondamentale dei pastori, che invece oramai l’hanno abbandonata al controllo di gruppi che hanno un interesse ideologico nel pilotare tutto in una direzione sempre più lontana da quella che è la via maestra della Tradizione.

Tradizione che, vale la pena ripeterlo, non è il passato ma l’origine, è andare non indietro ma in profondità. Ecco perché nei secoli la Chiesa non ha risparmiato risorse per abbellire gli edifici di culto, per ornare la liturgia di suoni, profumi, immagini, che potessero aiutare i fedeli tutti a mettersi in cammino per la via pulchritudinis. Platone diceva che “il bello è lo splendore del vero”. Solo ritornando alla bellezza, al senso della forma anche sonora, possiamo sperare di poter accedere allo splendore del vero. Don Piero Cantoni (alleanzacattolica.org) ci dice: “Quando il bello viene disancorato dalla conoscenza della forma, come spesso accade nell’estetica moderna, si riduce alla dimensione sensibile e fenomenica perdendo di vista il proprio legame intrinseco e indissolubile con il vero e con il bene. Il disinteresse estetico diventa separazione dal vero e dal bene, e smarrimento dell’oggettività, inevitabile conseguenza dell’aver smarrito il senso dell’essere“. Quando la bellezza esce dalle chiese, fa fatica ad entrarci anche la verità.

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