mercoledì 5 febbraio 2020

La decadenza delle Cappelle Musicali

Mi sono occupato per un articolo su La Nuova Bussola Quotidiana della vicenda della Cappella Musicale di Loreto, i cui cantori sono stati invitati a cantare gratuitamente e si sono tutti dimessi. La Delegazione Pontificia di Loreto non ha gradito il mio articolo, ne vedremo le conseguenze. In realtà io ho detto una verità che mi sembra appartenere alla dottrina dociale della Chiesa: chi presta un’opera qualificata deve essere pagato. Bisogna far ben capire cosa significa questo in questo contesto. Significa che il contributo professionale deve avere un riconoscimento che permette alla persona di poter continuare a svolgere il suo ruolo e avere i necessari mezzi di sussistenza. Non dimentichiamo che i sacerdoti che fanno parte dei capitolo basilicali, che hanno in carico la preghiera liturgica della loro chiesa, hanno uno stipendio. Perché nessuno eccepisce su questo mentre per i musicisti questo sembra essere fuori dal mondo?
Ma ricordiamo che un tempo le Cappelle Musicali avevano dei possedimenti, terreni, case, fabbricati, con cui venivano pagati i membri della Cappella stessa. Negli ultimi decenni questi possedimenti sono stati incamerati dai capitoli stessi, decurtando le poche Cappelle rimanenti dei necessari mezzi di sussistenza. I laici, secondo il Codice di Diritto Canonico, “hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre il diritto che in loro favore si provveda debitamente alla previdenza, alla sicurezza sociale e all'assistenza sanitaria”. Ma questo oggi, nella Chiesa, è meno di aria fritta.

3 commenti:

  1. Sono perfettamente d'accordo.Io ho sempre preteso quando avevo un compenso che lo avessero anche i ragazzi cantori del mio Coro di Voci Bianche dell'Arcum naturalmente adeguato alla loro età.Paolo Lucci.Apprendo che oggi sia a S.Cecilia che all'Opera non solo non ricevono compenso ma debbono pure pagare per partecipare al Coro!Paolo Lucci

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  2. È proprio così e ciò che non si comprende è che in tal modo si impedisce lo svolgimento e perseguimento di obiettivi di carattere artistico - musicale poiché non riconosciuti quali attività qualificate

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  3. La situazione è vera ma anche complessa. Quando un giovane musicista (magari organista) diventa bravino prova a richiedere al parroco un compenso, si trova davanti due situazioni opposte: il parroco che sostiene la volontarietà dell’azione svolta (quindi gratis) e quello che invece, più attento e corretto, elargisce compensi naturalmente in nero. Va da sé che il giovane (e non solo) musicista si rivolge la’ dove trova una qualche remunerazione. In fondo ha studiato molti anni, frequentato corsi costosi ecc. E si badi bene che la cosa riguarda ancor meno i direttori di coro che lavorano scegliendo canti, animando e dirigendo cori, facendo prove settimanali ed istruendo i cantori per farli crescere musicalmente e liturgicamente.
    Il volontariato è molto bello ma anche rischioso e non deve sostituire quella che è una regolare attività. Anche a me piacerebbe molto che una persona venisse a fare volontariato a casa mia pulendo le stanze, ma questo non è chiaramente possibile. Allora perché nella Chiesa tante attività vengono considerate volontariato gratuito?
    Io credo che grande responsabilità ce l’hanno le Diocesi che dovrebbero imporre norme chiare e uguali per tutte le parrocchie, con criteri di rimborso spese a secondo della qualità del musicista o del volontario che svolge un’attività continuativa e regolare a favore della comunità parrocchiale. Ma qui siamo lontani ancora anni luce.

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